Claudio Monteverdi: Il lamento di Arianna (1608)
Il frontespizio del Lamento di Arianna stampato a Venezia dal Gardano nel 1623 |
Il Lamento è scritto nello "stile rappresentativo", ma i duri contorni di questo stile spariscono completamente, sostituendosi in una monofonìa di grande valore espressivo e di una coerenza strutturale distinta. Le frasi cadono spontaneamente nella forma simile a quella del canto all'inizio del secondo atto di Orfeo; ma più importante dell'aspetto formale è la tecnica espressiva. La scena drammatica nella quale trova cornice il Lamento non potrebbe essere più commovente: Teseo ha lasciato Arianna sola su una isola deserta, ed ella rimpiange la sua sorte ed il suo amore. «Lasciatemi morire! Lasciatemi morire! E chi volete voi che mi conforte in così dura sorte, in così gran martire! Lasciatemi morire!».
Il riferimento a musicisti e filosofi greci, dimostrati e discussi con tanta cura da Monteverdi nella sua prefazione, finiscono per avere una importanza puramente accademica: le lacrime negli occhi di chi ascoltava l'Arianna erano lacrime di emozione sincera, mosse dalle sensazioni musicali piuttosto che dalla logica di fondamenti teorici. Seimila persone assistettero alla prima rappresentazione di Arianna. «Arianna toccò la gente perché fu una donna e Orfeo perché fu solamente uomo», scrisse Monteverdi in una lettera (dicembre 1616); ma per dar loro la possibilità di essere uomo e donna, il Maestro li rivela nello spasimo della passione. Il messaggio che annuncia la morte di Euridice fa crollare tutto il mondo di Orfeo; e il Lamento di Arianna non è che il canto del cuore umano piangente in agonia per la salvezza della morte.
Il lamento di Arianna
Lasciatemi morire!
E chi volete voi che mi conforte
In così dura sorte,
In così gran martire?
Lasciatemi morire.
O Teseo, O Teseo mio,
Si, che mio ti vo' dir, che mio pur sei,
Benchè t'involi, ahi crudo, a gli occhi miei
Volgiti, Teseo mio,
Volgiti, Teseo, O Dio!
Volgiti indietro a rimirar colei
Che lasciato ha per te la Patria e il Regno,
E in queste arene ancora,
Cibo di fere dispietate e crude,
Lascierà l'ossa ignude!
O Teseo, O Teseo mio,
Se tu sapessi, O Dio!
Se tu sapessi, ohimè, come s'affanna
La povera Arianna,
Forse pentito
Rivolgeresti ancor la prora aIlito!
Ma con l'aure serene
Tu te ne vai felice et io qui piango.
A te prepara Atene
Liete pompe superbe, ed io rimango
Cibo di fere in solitarie arene.
Te l'uno e l'altro tuo vecchio parente
Stringeran lieti, et io
Più non vedrovvi, O Madre, O Padre mio!
Dove, dov'è la fede
Che tanto mi giuravi?
Così ne l'alta fede
Tu mi ripon degl'Avi?
Son queste le corone
Onde m'adorni il crine?
Questi gli scettri sono,
Queste le gemme e gl'ori?
Lasciarmi in abbandono
A fera che mi strazi e mi divori?
Ah Teseo, ah Teseo mio,
Lascierai tu morire
Invan piangendo, invan gridando 'aita,
La misera Arianna
Ch'a te fidossi e ti diè gloria e vita?
Ahi, che non pur rispondi!
Ahi, che più d'aspe è sordo a' miei lamenti!
O nembri, O turbi, O venti,
Sommergetelo voi dentr'a quell'onde!
Correte, orche e balene,
E delle membra immonde
Empiete le voragini profonde!
Che parlo, ahi, che vaneggio?
Misera, ohimè, che chieggio?
O Teseo, O Teseo mio,
Non son, non son quell'io,
Non son quell'io che i feri detti sciolse;
Parlò l'affanno mio, parlò il dolore,
Parlò la lingua, sì, ma non già il cuore.
Misera! Ancor dò loco
A la tradita speme?
E non si spegne,
Fra tanto scherno ancor, d'amor il foco?
Spegni tu morte, ornai, le fiamme insegne!
O Madre, O Padre, O dell'antico Regno
Superbi alberghi, ov'ebbi d'or la cuna,
O servi, O fidi amici (ahi fato indegno!)
Mirate ove m'ha scort'empia fortuna,
Mirate di che duol m'ha fatto erede
L'amor mio,
La mia fede,
E l'altrui inganno,
Così va chi tropp'ama e troppo crede.
Bellissimo!
RispondiEliminaCiao Dario ribaudo
RispondiEliminaWow!!!
RispondiEliminaPaolo Maria Francesco SCHIAVO la canta divinamente
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