domenica 26 aprile 2009

Claudio Monteverdi: Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1638)

Home Page > Claudio Monteverdi > La vita e l'opera


Claudio Monteverdi: Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1638)


Il Combattimento di Tancredi e Clorinda, che fa parte dell'Ottavo Libro di Madrigali Guerrieri et Amorosi (Venezia, Vincenti, 1638), fu commissionato da Girolamo Mocenigo, e venne eseguito per la prima volta in casa Mocenigo nel carnevale del 1624. Monteverdi si trovava a Venezia dal 1613, e nello stesso anno fu nominato maestro di musica della Serenissima nella cappella di San Marco, al posto di Giulio Cesare Martinengo. Era ormai uno dei più celebri musicisti italiani, ma col Combattimento ottenne un successo senza precedenti.

La ricerca psicologico-musicale monteverdiana è spinta all'estremo: siamo ai primi accenni della vera musica imitativa, presagio di impressionismo. Monteverdi adattò il madrigale alle esigenze contemporanee e ne stabilì lo stretto collegamento con il palcoscenico "in genere rappresentativo".

Come autore di teatro, nell'opera, nel balletto, nel divertimento all'aperto, si dimostrò un musicista preminentemente vocale; per quanto eccellenti e originali siano le sue sinfonie e ritornelli, tuttavia è la musica vocale che lo configura come un vero genio e come il padre dell'opera italiana. Monteverdi rappresenta il momento di passaggio dalla polifonia pura alla melodia e il lento ma inesorabile insorgere della voce superiore, che si affermava come parte principale.

Con la sua formula teatrale che esige una precisa interpretazione attraverso il canto e la mimica, il Combattimento segna una data monumentale sia nella produzione monteverdiana che nella storia della musica. Il testo di Torquato Tasso (La Gerusalemme Liberata, Canto XII), colmo di violenza romantica, avrebbe dovuto presentare difficoltà all'artista che fu essenzialmente preoccupato dell'anima umana. Ma qui lo stile rappresentativo trova la sua più perfetta illustrazione, e la diversità dei sentimenti e delle passioni trovano l'equilibrio nella semplicità musicale impiegata da Monteverdi.

Ecco quanto scrisse Monteverdi per la Prefazione alla prima edizione (1638) del Combattimento:

COMBATIMENTO DI
TANCREDI ET CLORINDA

Parole del Signor Torquato Tasso
«Combatimento in Musica di Tancredi et Clorinda, descritto dal Tasso; il quale volendosi esser fatto in genere rappresentativo, si farà entrare alla sprovista (dopo cantatesi alcuni Madrigali senza gesto) dalla parte de la Camera in cui si farà la Musica. Clorinda a piedi armata, seguita da Tancredi armato sopra ad un Cavallo Marrano, et il Testo all'hora comincerà il Canto. Faranno gli passi et gesti nel modo che l'oratione esprime, et nulla di più né meno, osservando questi diligentemente gli tempi, colpi et passi, et gli ustrumentisti gli suoni incitati e molli; et il Testo le parole a tempo pronunciate, in maniera, che le creationi venghino ad incontrarsi in una immitatione unita; Clorinda parlerà quando gli toccherà, tacendo il Testo; così Tancredi. Gli ustrimenti, cioè quattro viole da brazzo, Soprano, Alto, Tenore et Basso et contrabasso da Gamba, che continuerà con il Clavicembalo, doveranno essere tocchi ad immitatione delle passioni dell'oratione; la voce del Testo dovrà essere chiara, ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli ustrimenti, atiò meglio sii intesa nel ordine. Non doverà fare gorghe né trilli in altro loco, che solamente nel canto de la stanza, che incomincia Notte; il rimanente porterà le pronuntie et similitudine delle passioni del'oratione. In tal maniera (già dodici Anni) fu rapresentato nel Pallazzo del'Illustrissimo et Eccelentissimo Signor Girolamo Mozzenigo, mio particolar Signore. Con ogni compitezza, per essere Cavaliere di benissimo et delicato gusto; In tempo però di Carnevale per passatempo di veglia; Alla presenza di tutta la nobiltà, la quale restò mossa dall'affetto di essere statto canto di genere non più visto né udito».
***


Combattimento di Tancredi e Clorinda


Tancredi, che Clorinda un uomo stima
vol ne l'armi provarla al paragone.
Va girando colei l'alpestre cima
ver altra porta ove d'entrar dispone.
Segue egli impetuoso; onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone,
ch'ella si volge e grida: - O tu che porte,
correndo così? -. Risponde: - E guerra e morte -.
- Guerra e morte avrai; - disse - io non rifiuto
darlati, se la cerchi -, e ferma attende.

Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende;
e vansi incontro, a passi tardi e lenti,
che duo tori gelosi e d'ira ardenti.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudeste e nell'oblio fatto sí grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
teatro, opre sarian sí memorande.

Piacciati ch'io ne'l tragga, e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama lor; et tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l'alta memoria.
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte;

sempre è il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio invan, né punta a voto.
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co' pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da que' nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fer nemico, e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo esangue
s 'l pomo de la spada appoggia il peso.

Già de l'ultima stella il raggio langue
al primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!
Misero, di che godi? Oh quanto mesti
f iano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.

Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse:
- Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
e lode e testimon degno de l'opra,
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,

acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la mia vita onore -.
Risponde la feroce: - Indarno chiedi
quel ch'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la garn torre accese -.
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: - In mal punto il dicesti;
il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta -.

Torna l'ira ne' cori, e li trasporta,
benché debili in guerra. Oh fera pugna,
u' l'arte in bando, u' già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spaziosa porta
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna,
ne l'arme e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.

Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge, e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta,
le mammelle stringea tenera e leve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme,

parole ch'a lei novo spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vole in morte ancella.
- Amico, hai vinto: lo ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
e l'alma sí; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave -.
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave

ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sèn del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Non morì già che sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia il cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
die parea: «S'apre il cielo; io vado in pace».



1 commento:

  1. Il Combattimento di Tancredi e Clorinda | Terme di Caracalla - Roma dal 12 al 15 Luglio 2012 http://estatecaracalla.operaroma.it/it/?p=836

    RispondiElimina