martedì 28 aprile 2009

Claudio Monteverdi: Sesto libro di madrigali (1614)

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Claudio Monteverdi: Libro VI

Sesto libro de madrigali (1614)

a 5 voci.
In Venetia Appresso Ricciardo Amadino.


1. Lamento d'Arianna
2. Zefiro torna
3. Una donna fra l'altre honesta e bella vidi
4. A Dio, Florida bella
5. Sestina (Lagrime d'Amante al sepolcro d'Amata)
6. Ohimè, il bel viso
7. Qui rise o Tirsi
8. Misero Alceo
9. Batto qui pianse Ergasto
10. Presso un fiume tranquillo








1. Lamento d'Arianna
Ottavio Rinuccini

PRIMA PARTE
Lasciatemi morire.
E chi volete voi che mi conforte
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire.

SECONDA PARTE
O Teseo, o Teseo mio!
Sì, che mio ti vo’ dir, ché mio pur sei,
benché t’involi, ahi crudo, a gli occhi miei.
Volgiti, Teseo mio,
volgiti, Teseo, o Dio!
Volgiti indietro a rimirar colei
che lasciato ha per te la patria e ’l regno,
e ’n quest’arene ancora,
cibo di fere dispietate e crude,
lascerà l’ossa ignude.
O Teseo, o Teseo mio,
se tu sapessi, o Dio,
se tu sapessi, ohimè, come s’affanna
la povera Arianna,
forse, forse pentito
rivolgeresti ancor la prora al lito.
Ma con l’aure serene
tu te ne vai felice ed io qui piango.
A te prepara Attene
liete pompe suberbe, ed io rimango
cibo di fere in solitarie arene.
Te l’un e l’altro tuo vecchio parente
stringeran lieto, ed io
più non vedrovi, o madre, o padre mio.

TERZA PARTE
Dove, dov’è la fede
che tanto mi giuravi?
Così ne l’alta sede
tu mi ripon de gli avi?
Son queste le corone
onde m’adorni il crine?
Questi li scetri sono?
Queste le gemme e gli ori?
Lasciarmi in abandono
a fera che mi stracci e mi divori?
Ah Teseo, ah Teseo mio!
Lascerai tu morire,
in van piangendo, in van gridando aita,
la misera Arianna,
ch’a te fidossi e ti die’ gloria e vita?

QUARTA PARTE
Ahi, che pur non risponde!
Ahi, che più d’asp’è sordo a’ miei lamenti!
O nembi, o turbi, o venti,
sommergetelo voi dentro a quell’onde!
Correte, orche e balene,
e de le membra immonde
empiete le voragini profonde!
Che parlo, ahi! che vaneggio?
Misera, ohimè, che chieggio?
O Teseo, o Teseo mio,
non son quell’io che i feri detti sciolse:
parlò l’affanno mio, parlò il dolore;
parlò la lingua sì, ma non già il core.


2. Zefiro torna
Francesco Petrarca
Zefiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia,
e garir Progne e pianger Filomena,
e primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria e l’acqua e la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si raconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi
sospiri, che dal cor profundo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
e cantar augelletti, e fiorir piagge,
e ’n belle donne oneste atti e soavi
sono un deserto, e fere aspre e selvagge.

3. Una donna fra l'altre

Una donna fra l’altre onesta e bella
vidi nel coro di bellezza adorno
l’armi vibrar, mover il piede intorno,
feritrice d’amor, d’amor rubella.
Uscìan dal caro viso auree quadrella,
e ’n quella notte che fe’ invidia e scorno
col sol de’ suoi belli occhi al chiaro giorno,
si rese ogni alma spettatrice ancella.
Non diede passo allor che non ferisse,
né girò ciglio mai che non sanasse,
né vi fur cor che ’l suo ferir fugisse;
non ferì alcun che risanar bramasse,
né fu sanato alcun che non languisse,
né fu languente alfin che non l’amasse.

4. A Dio, Florida bella
Giovan Battista Marino

A Dio Florida bella, il cor piagato
nel mio partir ti lascio e porto meco
la memoria di te si come seco
cervo trafitto suol lo strale alato.
Caro mio Floro a Dio, l'amaro stato
consoli amor del nostro viver cieco
Che s'el tuo cor mi resta il mio vien teco
Com'augellin che vola al cibo amato.
Così sul Tebro a lo spuntar del sole
Quinci e quindi confuso un suon s'udia
Di sospiri, di baci e di parole.
Ben mio rimanti in pace, e tu ben mio
vattene in pace e sia quel ch'el ciel vole
A Dio Floro dicea Florida, a Dio.

5. Sestina (Lagrime d'Amante al sepolcro d'Amata)
Scipione Agnelli

I.
Incenerite spoglie, avara tomba
Fatta del mio bel Sol, terreno Cielo,
Ahi lasso! I' vegno ad inchinarvi in terra.
Con voi chius'è 'l mio cor a marmi in seno,
E notte e giorno vive in foco, in pianto,
In duolo, in ira, il tormentato Glauco.
II.
Ditelo, O fiumi, e voi ch'udiste Glauco
L'aria ferir dì grida in su la tomba,
Erme campagne - e'l san le Ninfe e 'l Cielo:
A me fu cibo il duol, bevanda il pianto,
- Letto, O sasso felice, il tuo bel seno -
Poi ch'il mio ben coprì gelida terra.
III.
Darà la notte il sol lume alla terra
Splenderà Cintia il di, prima che Glauco
Di baciar, d'honorar lasci quel seno
Che fu nido d'Amor, che dura tomba Preme.
Nel sol d'alti sospir, di pianto,
Prodighe a lui saran le fere e 'l Cielo!
IV.
Ma te raccoglie, O Ninfa, in grembo 'l Cielo,
Io per te miro vedova la terra
Deserti i boschi e correr fium'il pianto.
E Driade e Napee del mesto Glauco
Ridicono i lamenti, e su la tomba
Cantano i pregi dell'amante seno.
V.
O chiome d'or, neve gentil del sono
O gigli della man, ch'invido il cielo
Ne rapì, quando chiuse in cieca tomba,
Chi vi nasconde? Ohimè! Povera terra
II fior d'ogni bellezza, il Sol di Glauco
Nasconde! Ah! Muse! Qui sgorgate il pianto!
VI.
Dunque, amate reliquie, un mar di pianto
Non daran questi lumi al nobil seno
D'un freddo sasso? Eco! L'afflitto Glauco
Fa rissonar «Corinna»: il mare e 'l Cielo,
Dicano i venti ogn'or, dica la terra
«Ahi Corinna! Ahi Morte! Ahi tomba!»
Cedano al pianto
I detti! Amato seno
A te dia pace il Cielo,
Pace a te, Glauco
Prega, honorato tomba
E sacra terra.

6. Ohimè, il bel viso
Francesco Petrarca

Ohimè il bel viso, ohimè il soave sguardo,
Ohimè il leggiadro portamento altero.
Ohimè il parlar ch'ogni aspro ingegno e fero
Faceva humile, ed ogni huom vii gagliardo.
Et ohimè il dolce riso onde uscì 'l dardo
Di che morte, altro ben già mai non spero:
Alma real, dignissima d'impero,
Se non fosse fra noi scesa sì tardo.
Per voi convien ch'io arda e 'n voi respiro,
Chi' pur fui vostro; e se di voi son privo
Via men d'ogni sventura altra mi duole.
Di speranza m'empieste e di desire
Quand'io parti' dal sommo piacer vivo;
Ma 'l vento ne portava le parole.

7. Qui rise o Tirsi (concertato nel clavicembalo)
Giovanni Battista Marino

Qui rise, o Tirsi, e qui ver me rivolse
Le due stelle d'Amor la bella Clori;
Qui per ornarmi il crin, de' più bei fiorì
Al suon dele mie canne un grembo colse.
O memoria felice, o lieto giorno.
Qui l'angelica voce e le parole,
C'humiliaro i più superbi Tori;
Qui le Gratie scherzar vidi, e gli Amori
Quando le chiome d'or sparte raccolse.
O memoria felice, o lieto giorno.
Qui con meco s'assise, e qui mi cinse
Del caro braccio il fianco, e dolce intorno
Stringendomi la man, l'alma mi strinse.
Qui d'un bacio ferimmi, e 'l viso adorno
Di bel vermiglio vergognando tinse.
O memoria felice, o lieto giorno.

8. Misero Alceo (concertato)
Giambattista Marino

Misero Alceo, del caro albergo fore
gir pur convienti, e ch’al partir t’apresti.
«Ecco Lidia, ti lascio, e lascio questi
poggi beati, e lascio teco il core.
Tu, se di pari laccio e pari ardore
meco legata fosti e meco ardesti,
fa’ che ne’ duo talor giri celesti
s’annidi e posi, ov’egli vive e more.
Sì, mentre lieto il cor staratti a canto,
gli occhi, lontani da soave riso,
mi daran vita con l’umor del pianto».
Così disse il pastor dolente in viso.
La ninfa udillo, e fu in due parti intanto
l’un cor da l’altro, anzi un cor sol, diviso.

9. Batto, qui pianse Ergasto (concertato)
Giambattista Marino

«Batto», qui pianse Ergasto, «ecco la riva
ove, mentre seguia cerva fugace,
fuggendo Clori il suo pastor seguace,
non so se più seguiva o se fuggiva».
«Deh, mira!» – egli dicea – «se fuggitiva
fera pur saettar tanto ti piace,
saetta questo cor che soffre in pace
le piaghe, anzi ti segue e non le schiva.
Lasso, non m’odi?». E qui tremante e fioco
e tacque e giacque. A questi ultimi accenti
l’empia si volse e rimirollo un poco.
Allor di nove Amor fiamme cocenti
l’accese. Or chi dirà che non sia foco
l’umor che cade da duo lumi ardenti?

10. Presso un fiume tranquillo (dialogo a 7 concertato)
Giambattista Marino

Presso un fiume tranquillo
disse a Filena Eurillo:
«Quante son queste arene
tante son le mie pene,
e quante son quell’onde,
tante ho per te nel cor piaghe profonde».
Rispose, d’amor piena,
ad Eurillo Filena:
«Quante la terra ha foglie,
tante son le mie doglie,
e quante il cielo ha stelle,
tante ho per te nel cor vive fiammelle».
Dunque con lieto core
soggionse indi il pastore:
«Quanti ha l’aria augelletti
siano i nostri diletti,
e quant’hai tu bellezze
tante in noi versi Amor care dolcezze».
«Sì, sì» con voglie accese
l’un e l’altro riprese:
«Facciam, concordi amanti,
pari le gioie ai pianti,
a le guerre le paci:
se fur mille i martir, sien mille i baci».