martedì 28 aprile 2009

Claudio Monteverdi: Settimo libro di madrigali (1619)

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Claudio Monteverdi: Libro VII

Settimo libro de madrigali (1619)

a 1. 2. 3. 4. et 6 voci, con altri generi de Canti.
In Venetia Appresso Bartholomeo Magni.


1. Tempro la cetra
2. Non è di gentil core chi non arde
3. A quest'olmo, a quest'ombre
4. O come sei gentile, caro augellino
5. Io son pur vezzosetta pastorella
6. O viva fiamma, o miei sospiri ardenti
7. Vorrei baciarti, o Filli
8. Dice la mia bellissima Licori
9. Ah, che non si conviene romper la fede?
10. Non vedrò mai le stelle
11. Ecco vicine, o bella tigre
12. Perchè fuggi tra salci, ritrosetta?
13. Tornate, o cari baci
14. Soave libertate
15. S'el vostro cor, madonna
16. Interrotte speranze
17. Augellin, che la voce al canto spieghi
18. Vaga su spina ascosa
19. Eccomi pronta ai baci, Ergasto mio
20. Parlo, miser' o taccio?
21. Tu dormi? Ah crudo core
22. Al lume delle stelle
23. Con che soavità, labbra odorate
24. Ohimè, dov'è il mio ben?
25. Se i languidi miei sguardi
26. Se pur destina e vole il cielo
27. Chiome d'oro, bel tesoro
28. Amor che deggio far?
29. Ballo: Tirsi e Clori



1. Tempro la cetra (con sinfonia e ritornelli per 5 parti strumentali)
Giambattista Marino

Tempro la cetra, e per cantar gli onori
di Marte alzo talor lo stil e i carmi.
Ma invan la tento e impossibil parmi
ch'ella già mai risoni altro ch'amore.

Così pur tra l'arene e pur tra' fiori
note amorose Amor torna a dettarmi,
né vuol ch'io prend' ancora a cantar d'armi,
se non di quelle, ond'egli impiaga i cori.

Or umil plettro a i rozzi accenti indegni,
musa, qual dianzi, accorda, in fin ch'al canto
de la tromba sublime il Ciel ti degni.

Riedi a i teneri scherzi, e dolce intanto
lo Dio guerrier, temprando i feri sdegni,
in grembo a Citerea dorma al tuo canto.


2. Non è di gentil core chi non arde
Fabrizio degl'Atti

Non è di gentil core
chi non arde d'amore!
Ma voi, che dal mio cor l'anima siete
e nel foco d'amor lieta godete,
gentil al par d'ogn'altra havete il core,
peché ardete d'amore.
Dunque non è, non è di gentil core,
chi non arde d'amore.


3. A quest'olmo, a quest'ombre (concertato a sei voci)
Giambattista Marino

A quest'olmo, a quest'ombre, ed a quest'onde,
ove per uso ancor torno sovente,
eterno i' deggio, ed avrò sempre in mente,
quest'antro, questa selva e questa fronde.

In voi sol, felici acque, amiche sponde,
il mio passato ben quasi presente
Amor mi mostra e del mio foco ardente
tra le viostre fresch'aure i semi asconde.

Qui di quel lieto dì soave riede
la rimembranza allor che la mia Clori
torna in dono se stessa e 'l cor mi diede;

già spirar sento erbette intorno e fiori,
ovunque o fermi il guardo o mova il piede,
dell'antiche dolcezze ancor gli odori.


4. O come sei gentile, caro augellino
Giovanni Battista Guarini

O come sei gentile, caro augellino!
O quanto è il mio stato amoroso al tuo simile!
Io prigion, tu prigion; tu canti, io canto;
tu canti per colei che t'ha legato, ed io canto per lei.
Ma in questo è differente la mia sorte dolente:
che giova pur a te l'esser canoro, ed io cantando moro.


5. Io son pur vezzosetta pastorella
Accademico Incolto degli Immaturi

Io son pur vezzosetta pastorella
che le guance ha di rose e gelsomini,
e questa fronte e questi acuti crini
mi fanno altrui parer Driade novella.

Di flora non v'è qui nobil donzella
o schiera di pomposi cittadini
che, quando in lor m'incontro e faccio inchini
il titol non mi dian de la più bella.

E se il giorno de la festa io vado al ballo,
mi porta ogni pastor perch'io l'inviti,
specchi, fior, frutti o vezzi di corallo.

E non saranno a te punto graditi,
caro Lidio, i miei sguardi?
E sempre in fallo ti pregherò,
crudel, che tu m'aiti?


6. O viva fiamma, o miei sospiri ardenti
Autore incerto

O viva fiamma, o miei sospiri ardenti,
o petto pien di duol, o spirti lassi,
o pensier d'ogni speme ignudi e cassi,
o strali del mio cor fieri e pungrnti,

o bei desir de l'onorate menti,
o vane imprese, o dolorosi passi,
o selve, o piagge, o fonti, o fiumi , o sassi,
o sola mia cagion d'aspri tormenti,

o vaghe erbette, o fiori, o verdi mirti,
o loco un tempo a me dolce e giocondo
ov'io già sparsi dilettoso canto

o voi, leggiadri ed amorosi spirti,
- s'alcun vive guaggiù nel basso mondo -
pietà vi prenda del mio acerbo pianto!


7. Vorrei baciarti, o Filli
Giambattista Marino - "Gli Amori"

Vorrei bacarti, o Filli,
ma non so come ove 'I mio bacio scocchi,
ne la bocca o negl'occhi.
Cedan le labra a voi, lumi divini,
fidi specchi del core,
vive stelle d'Amore!
Ah, pur mi volgo a voi, perle e rubini,
tesoro di bellezza,
fontana di dolcezza,
bocca, onor del bel viso:
nasce il pianto da lor, tu m'apri il riso!


8. Dice la mia bellissima Licori
Giovanni Battista Guarini

Dice la mia bellissima Licori
quando talor favello seco d'amor,
ch'Amor è uno spiritello
che vaga e vola, e non si può tenere,
nè toccar, nè vedere;
e pur, se gli occhi giro,
ne' sugli begli occhi il miro:
ma nol posso toccar,
ché sol si tocca in quella bella bocca.


9. Ah, che non si conviene romper la fede?
Autore incerto

Ah, che non si conviene romper la fede
a chi la fe' mantiene.
Il mio fermo voler è quegli' istesso
lontan da voi, ch'esservi suole appresso,
nè può cangiarlo morte,
nè sia malbvagia sorte:
ma, fermo come a l'onde immobil scoglio,
e viver vostro e morir vostro io voglio.


10. Non vedrò mai le stelle
Autore incerto

Non vedrò mai le stelle ne' bei celesti giri,
perfida, ch'io non miri
gli occhi che fur presenti
alla dura cagion de' miei tormenti,
e ch'io non dica lor: o luci belle,
deh siate sì rubelle di lume a chi rubella è sì di fede,
ch'anzi a rant'occhi e tanti lumi
ha core tradire amante sotto fe' d'amore.


11. Ecco vicine, o bella tigre
Claudio Achillini

Ecco vicine, o bella tigre, l'ore
che tu de gli occhi mi nasconda i rai:
ah che l'anima mia non sentì mai,
meglio che dal partir, le tue dimore!

Fuggimi pur con sempiterno errore:
sotto straniero ciel, ovunque sai
che, quanto più peregrinando vai,
cittadina ti sento in mezzo al core.

ma potess'io seguir, solingo errante,
o sia per valli o sia per monti o sassi,
l'orme del tuo bel piè leggiadre e sante:

ch'andrei là dove spiri e dove passi,
con la bocca e col cor, devoto amante,
baciando l'aria ed adorando i passi.


12. Perchè fuggi tra salci, ritrosetta?
Giambattista Marino - "Gli Amori"

Perché fuggi tra salci, ritrosetta ma bella,
o cruda tra le crude, pastorella?
Perché un bacio di tolsi?
Miser più che felice,
corsi per sugger vita e morte colsi.
Quel bacio che m'ha morto,
tra le rose d'amor pungente spina,
fu più vendetta tua che mia rapina:
la bocca involatrice,
la bocca stessa che'l furò te'l dice!


13. Tornate, o cari baci
Giambattista Marino - "Gli Amori"

Tornate, o cari baci, a ritornarmi in vita
baci al mio cor digiun esca gradita!
Voi di quel dolce amaro per cui languir m'è caro,
di quel dolce non meno nettare che veleno
pascete i miei fameici desiri,
baci in cui dolci provo anco i sospiri!


14. Soave libertate
Gabriel Chiabrera

Soave libertate,
già per sì lunga etate
mia cara compagnia,
chi da te mi disvia?
O Dea desiata
e da me tanto amata,
ove ne vai veloce?
Lasso, che ad alta voce
in van ti chiamo e piango:
tu fuggi, ed io rimango
stretto in belle catene
d'altre amorose pene
e d'altro bel desìo:
addio, per sempre addio!


15. S'el vostro cor, Madonna
Giovanni Battista Guarini

S'el vostro cor, Madonna,
altrui pietoso tanto,
da quel suo degno al mio non degno pianto
tal hor si rivolgesse,
e una stilla al mio languir ne desse,
forse nel mio dolore
vedria
l'altrui perfidia,
e'l proprio errore,
e voi seco direste: Ah, sapess'io
usar pietà come pietà desio!


16. Interrotte speranze
Giovanni Battista Guarini

Interrotte speranze, eterna fede,
fiamme e strali possenti in debil core;
nutrir sol di sospiri un fero ardore
e celare il suo mal quand'altri il vede:

seguir di vago e fuggitivo piede
l'orme rivolte a volontario errore;
perder del seme sparso e'l frutto e'l fiore
e la sperata al gran languir mercede;

far d'uno sguardo sol legge ai pensieri
e d'un casto voler freno al desìo,
e spender lacrimando i lustri interi:

questi ch'a voi, quasi gran fasci, invio,
donna crudel, d'aspri tormenti e fieri,
saranno i trofei vostri e'l rogo mio.


17. Augellin, che la voce al canto spieghi
Autore incerto

Augellin che la voce al canto spieghi,
per pietà del mio duolo deh spargi l'ali a volo:
indi vanne a Madonna, anzi al mio sole,
e con soavi accenti dille queste parole:
o soave cagion d'aspri tormenti,
soffrirete voi sempre
che in pianto chi v'adora si distempre?


18. Vaga su spina ascosa
Gabriel Chiabrera

Vaga su spina ascosa
è rosa rugiadosa
che a l'alba si diletta
mossa da tresca auretta;
ma più vaga è la rosa
de la guancia amorosa
ch'oscura e discolora
le guance de l'aurora.
Addio, Ninfe de fiori
e Ninfe de gli odori;
Primavera gentile,
statti pur con Aprile:
che più vaga e più vera
mirasi Primavera
su quella fresca rosa
de la guancia amorosa
ch'oscura e discolora
le guance de l'aurora.


19. Eccomi pronta ai baci, Ergasto mio
Giambattista Marino - "Gli amori"

Eccomi pronta ai baci:
baciami, Ergasto mio; ma bacia in guisa
che de' denti mordaci
nota non resti nel mio volto incisa
perch'altri non m'additi
e in essa poi legga le mie vergogne e i baci tuoi.
Ahi, tu mordi e non baci;
tu mi segnasti, ahi ahi!
Possa io morir se più ti bacio mai!


20. Parlo, miser o taccio?
Giovanni Battista Guarini - "Gli Amori"

Parlo, miser', o taccio?
S'io taccio, che soccorso avrà il morire?
S'io parlo, che perdono avrà l'ardire?
Taci, che ben s'intende chiusa fiamma
tal'or da chi l'accende;
parla in me la pietade,
parla in lei la beltade
e dice quel bel volto al crudo core:
chi può mirarmi, e non languir d'amore?


21. Tu dormi? Ah crudo core
Autore incerto

Tu dormi? Ahi, crudo core,
tu puoi dormir, perch'in te dorme amore.
Io piango, e le mie voci lagrimose
a te, che sorda sei,
portano invano, ahimé, l'aure pietose.
Ah ben i pianti miei
pon far pietosi i venti:
ma te fan più crudele i miei lamenti.


22. Al lume delle stelle
Torquato Tasso

Al lume delle stelle Tirsi, sotto un alloro,
si dolea lagrimando in questi accenti:
«O celesti facelle, di lei ch'amo ed adoro
rassomigliare voi gli occhi lucenti.
Luci care e serene, sento gli affanni,
ohimé, sento le pene; luci serene e liete,
sento le fiamme lor mentre splendete».


23. Con che soavità, labbra odorate (concertato a una voce e 9 instromenti)
Giovanni Battista Guarini

Con che soavità, labbra odorate,
e vi bacio e v'ascolto;
ma se godo un piacer, l'altro m'è tolto.
Come i vostri diletti
s'ancidono fra lor, se dolcemente
vive per ambe due l'anima mia?
Che soave armonia
fareste, o cari baci, o dolci detti,
se foste unitamente
d'ambe due le dolcezze ambo capaci,
baciando, i detti, e ragionando, i baci.


24. Ohimè, dov'è il mio ben?
Bernardo Tasso

Ohimè, dov'è il mio ben? Dov'è il mio core?
Chi m'asconde il mio core: e chi me 'l toglie?

Dunque ha potuto sol desio d'honore
darmi fera cagion di tante doglie?

Dunque ha potuto in me più che 'l mio amore
ambitiose, e troppo lievi voglie?

Ahi sciocco mondo, e cieco! ahi cruda sorte,
che ministro mi fai de la mia morte.


25. Se i languidi miei sguardi
Claudio Achillini

Se i languidi miei sguardi,
se i sospiri interrotti,
se le tronche parole non han sin or potuto,
o bell'idolo mio, farvi delle mie fiamme intera fede:
leggete queste note, credete a questa carta,
a questa carta in cui sotto forma d'inchiostro il cor stillai.
Qui sotto scorgerete quell'interni pensieri
che con passi d'amore scorron l'anima mia;
anzi avvampar vedrete
come in sua propria sfera nelle vostre bellezze
il foco mio.

Non è già parte in voi che con forza invisibile
d'amore tutto a se non mi tragga:
altro già non son io che di vostra beltà preda e trofeo.
A voi mi volgo o chiome, cari miei lacci d'oro:
deh, come mai potea scampar sicuro,
se come lacci l'anima legaste,
com'oro la compraste?
Voi, pur voi, dunque siete della mia libertà
catena e prezzo.
Stami miei preziosi bionde fila divine,
con voi l'eterna Parca sovra il fuso fatal mia vita torce.

Voi, voi, capelli d'oro, voi pur siete di lei,
ch'è tutta il foco mio, raggi e faville;
ma se faville siete, onde avvien che ad ogn'ora
contro l'uso del foco in giù scendete?
Ah, ch'a voi per salir scender conviene,
ché la magion celeste ove aspirate,
o sfera degli ardori, o Paradiso,
è posta in quel bel viso.

Cara mia selva d'oro, richissimi capelli,
in voi quel labrinto Amor intesse,
onde uscir non saprà l'anima mia.
Tronchi pur morte i rami del prezioso bosco,
a da la fragil carne scuota pur lo mio spirto,
che tra fronde sì belle anco recise rimarrò prigioniero,
fatto gelida polve ed ombra ignuda.

Dolcissimi legami, belle mie pioggie d'oro,
quali or sciolte cadete da quelle ricche nubi,
onde raccolte siete e, cadendo, formate
preziose procelle, onde con onde d'or
bagnando andate scogli di latte e rivi d'alabastro,
more subitamente - O miracolo eterno d'amoroso desìo -,
fra sì belle tempeste arso il cor mio.
Ma già l'ora m'invita, o degli affetti miei
nuntia fedele, cara carta amorosa,
che dalla penna ti dividi omai;
vanne, e s'Amor e'l Cielo cor tese ti
concede che da begl'occhi non t'accenda il raggio,
ricovra entro il bel seno:
chi sa che tu non gionga da si felice loco
per sentieri di neve a un cor di foco!


26. Se pur destina e vole il cielo
Autore incerto

Se pur destina e vuole il cielo,
almo mio sole,
che in tenebre mi viva,
ascolta alma mia diva,
ciò che potrà ridire
fra cotanto martire
di sconsolato amante
lingua fredda e tremante.
O del cor luce e speme,
odi le voci estreme:
odile e dal bel seno
una lagrima almeno
bagni la viva neve.
Rimira ah, come lieve
per l'eterno cammino
s'affretta, e già vicino
splende l'infausto giorno
che dal bel ciglio adorno
mi condurrà lontano.
Deh con più lenta mano
sferza i destrieri ardenti,
Febo, se a' tuoi lamenti
trecce dorate e bionde
tornin l'amate fronde.
O pensier vani e fillo!
Che spero, ohimé, che volli
già dibattendo l'ale
giunge l'ora fatale
dell'aspra dipartita,
vita de la mia vita!
A te non dico addio
ché se l'alma e'l cor mio,
se lascio ogni mio bene
e con cara speme
resta ogni bel desìo,
a me vò dire addio:
a me, che triste e solo,
preda d'immortal duolo,
da me medesimo, lasso,
volgo partendo il passo.
Lumi, voi che vedeste
della beltà celeste,
allor ch'arsi e gelai,
splender sì vaghi i rai,
a voi, tremante e muto,
a voi dimando aiuto;
ridite, occhi, ridite
con lagrime infinite,
ridite innanzi a lei
gli affanni acerbi e rei,
ch'io non saprei ridire
di contanto martire
neppur minima parte:
solo dirò che parte
il più leale amante
che mai fermasse piante
nell'amoroso regno;
che di laccio il più degno
incatenato visse
di quanti unqua si ordisse
Amor per altra etade;
che per casta beltade
temprò sì bei lamenti
che'l mar, la terra e i venti
ne sospiraro, e'l cielo
di lagrimoso velo,
pietoso a' suoi sospiri,
sparse gli almi zaffiri;
e potrei dir ancora
ch'unqua non vide aurora
specchiarsi in mar sì bella
né l'amorosa stella
se non oscura e vile,
dopo l'ardor gentile
delle stellanti ciglia,
immollai meraviglia
in cui mirando, avolo
varco le nubi e il polo.
Ma deh, luci serene,
de le mie care pene
dolcissimo conforto,
chi scorgerammi in porto
per questo mar insano,
se da voi m'allontano?
Ahi che mia stanca nave
rimiro, e'l cor ne pave,
fra turbini e tempeste,
e del lume celeste
invan sospiro i rai,
stelle che tanto amai!
Ma qual timor mi punge?
Ove n'andrò si lunge
ch'io perda il dolce lume?
Qual monte mai, qual fiume,
qual mar farammi eclissi
che nel mio sol non fissi
il cor, l'alma e i pensieri,
se di quei raggi altieri
per entro il cor profondo
la luce e l'oror ascondo?
Partirà ben il piede:
Amor prestami fede:
per te, alma mia diva,
partirà sì ma schiva
de la gravosa salma
farà volando l'alma
- dolcissimo soggiorno -
ai suo bel ciel ritorno.


27. Chiome d'oro, bel tesoro (concertata da due violini, chitarrone o spinetta)
Autore incerto

Chiome d'oro, - bel tesoro,
tu mi leghi in mille modi
se t'annodi, - se ti snodi.

Candidette - perle elette,
se le rose che coprite
discoprite, - mi ferite.

Vive stelle - che sì belle
e sì vaghe risplendete,
se ridete - m'ancidete.

Preziose, - amorose,
coralline labbra amate,
se parlate - mi beate.

O bel nodo - per cui godo!
O soave uscir di vita!
O gradita - mia ferita!


28. Amor che deggio far?
Autore incerto

Amor che deggio far
se non mi giova amar con pura fede?
Servir non vò così,
piangendo notte e dì per chi no'l crede!

E non si può veder
l'amoroso pensier da l'orecchio umano?
Dunque un fido amator
dovrà nel suo dolor languire in vano?

Intesi pur talor
che nella fronte il cor si porta scritto,
or, come a me non val
scoprir l'interno mal nel volto afflitto?

Ingiustissimo Re,
perché la vera fe' nota non fai?
Perché lasci perir
voci, sguardi e sospir, se 'l vedi e 'l sai?

O come sarìa pur
A mor dolce e sicur se'l cor s'aprisse!
Non soffrirebbe già
donna senza pietà ch'altrui morisse.

E dunque sotto il ciel
non v'è d'alam fedel segno verace?
Ahi fato, ahi pena, ahi duol!
Or credami chi vuol, ch'io mi dò pace.


29. Ballo: Tirsi e Clori
(Alessandro Striggio ?)

Tirsi:
Per monti e per valli,
bellissima Clori,
già corrono a balli
le ninfe e' pastori.
Già lieta e festosa
ha tutto ingombrato
la schiera amorosa
il seno del prato.

Clori:
Dolcissimo Tirsi,
già vanno ad unirsi,
già tiene legata
l'amante l'amata.
Già movon concorde
il suono a le corde.
Noi soli negletti
qui stiamo soletti.

Tirsi:
Su, Clori mio core,
andianne a quel loco,
ch'invitano al gioco
le Grazie ed Amori
Già Tirsi distende
la mano e ti prende,
che teco sol vole
menar le carole.

Clori:
Sì, Tirsi, mia vita,
ch'a te solo unita
vò girne danzando,
vò girne cantando.
Pastor, bench'è degno,
non faccia disegno
di mover le piante
con Clori sua Amante

Clori e Tirsi:
Già, Clori gentile,
noi siam nella schiera.
Con dolce maniera
seguiam il lor stile.
Balliamo ed intanto
spieghiamo col canto,
con dolci bei modi
del ballo le lodi.

Solisti e Coro:
Balliamo, ch'el gregge,
al suon de l'avena
che i passi corregge
il ballo ne mena
e ballamo e saltano snelli
i capri e gli agnelli.

Balliam, che nel Cielo
con lucido velo,
al suon de le sfere
or lente or leggiere
con lumi e facelle
su danzan le stelle.

Balliam, che d'intorno
nel torbido giorno,
al suono de' venti
le nubi correnti,
se ben fosche e adre
pur danzan leggiadre.

Balliamo che l'onde
al vento che spira
le move, e l'aggira,
le spinge e confonde
si come lor siede;
e movon il piede,
e ballan le linfe
quai garuli ninfe.

Balliam, che i vezzosi
bei fior ruggiadosi,
se l'aura li scuote
con urti e con ruote,
fan vaga sembianza
anch'essi di danza.

Balliamo e giriamo,
corriamo e saltiamo,
- Qual cosa è più degna? -
il ballo n'insegna!