Claudio Monteverdi
Il ritorno d'Ulisse in Patria
Tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti
Libretto di Giacomo Badoaro
Prima rappresentazione:
Venezia, Teatro SS. Giovanni e Paolo, 1640
Personaggi:
L'umana Fragilità (contralto),
Il Tempo (basso),
La Fortuna (soprano),
Amore (soprano), Prologo
Penelope (mezzosoprano)
Ericlea (mezzosoprano)
Melanto (soprano)
Eurimaco (tenore)
Nettuno (basso)
Giove (tenore)
Ulisse (baritono)
Minerva (soprano)
Eumete (tenore)
Iro (tenore)
Telemaco (tenore)
Antinoo (basso)
Anfimono (tenore)
Pisandro (tenore)
Giunone (soprano)
Coro: Nereidi, Sirene, Feaci, Naiadi, ecc.
PROLOGO
L'UMANA FRAGILITÀ
Mortal cosa son io,
fattura umana,
tutto, tutto mi turba
un soffio sol m'abbatte,
il tempo, che mi crea,
quel, quel mi combatte.
IL TEMPO
Salvo è niente
dal mio dente,
ei rode, ei gode,
non fuggite o mortali,
che se ben zoppo, ho l'ali.
L'UMANA FRAGILITÀ
Mortal cosa son io,
fattura umana senza periglio
in van ricerco loco
che frale vita
è di fortuna, un giuoco.
LA FORTUNA
Mia vita son voglie,
le gioie, le doglie;
son cieca, son sorda
non vedo, non odo,
ricchezze, grandezze
dispenso a mio modo.
L'UMANA FRAGILITÀ
Mortal cosa son io,
fattura umana,
al Tiranno d'Amor serva sen giace
la mia fiorita età verde, e fugace.
AMORE
Dio de' dei feritor
mi dice il mondo Amor,
cieco saettator,
alato, ignudo,
contro il mio stral
non val difesa o scudo.
L'UMANA FRAGILITÀ
Misera, son ben io,
fattura umana,
creder a ciechi e zoppi
è cosa vana.
IL TEMPO
Per me fragile
FORTUNA
Per me misero
AMOR
Per me torbido
TUTTI
quest'uom sarà.
IL TEMPO
Il Tempo ch'affretta,
FORTUNA
Fortuna che alletta,
AMOR
Amor che saetta
TUTTI
pietade non ha.
ATTO I
Scena 1 - Reggia. Penelope, Ericlea.
PENELOPE
Di misera regina non terminati mai dolenti affanni!
L'aspettato non giunge e pur fuggono gli anni;
la serie del penar é lunga ahi troppo,
a chi vive in angoscie il tempo é zoppo.
Fallacissima speme, speranze non più verdi ma canute,
all'invecchiato male non promettete più pace o salute.
Scorsero quattro lustri dal memorabil giorno in cui con sue rapine
il superbo troiano chiamò l'alta sua patria alle rovine.
A ragion arse Troia,
poiché l'amore impuro,
ché un delitto di foco,
si purga con le fiamme;
ma ben contro ragione
per l'altrui fallo condannata innocente
dall'altrui colpe io sono l’afflitta penitente.
Ulisse accorto e saggio,
tu che punir gli adulteri ti vanti,
aguzzi l'armi e susciti le fiamme
per vendicar gli errori d'una profuga greca,
e 'n tanto lasci la tua casta consorte
fra nemici rivali
in dubbio de l'onor, in forse a morte.
Ogni partenza attende desiato ritorno,
tu sol del tuo tornar perdesti il giorno.
ERICLEA
Infelice Ericlea, nutrice sconsolata,
compiangi il duol della Regina amata.
PENELOPE
Non é dunque per me varia la sorte?
Cangiò forse Fortuna la volubil ruota
in stabil seggio? E la sua pronta vela
ch'ogni human caso porta
fra l'incostanza a volo,
sol per me non raccoglie un fiato solo.
Cangian per altri pur aspetto in cielo
le stelle erranti e fisse.
Torna, deh torna Ulisse!
Deh, torna Ulisse, Penelope t'aspetta,
la innocente sospira,
piange l'offesa e contro il tenace offensor
né pur s'adira:
all'anima affannata
porto le sue discolpe
acciò non resti di crudeltà macchiato,
ma fabbro de' miei danni incolpo il fato.
Così per tua difesa col destino, col Cielo
fomento guerre e stabilisco risse;
torna, deh, torna Ulisse!
Scena 2 - Melanto, Eurimaco
ERICLEA
Partir senza ritorno non può stella influir,
non è partir, ahi, che non è partir.
PENELOPE
Torna il tranquillo al mare,
torna il zeffiro al prato,
l'aurora mentre al sol fa dolce invito
a un ritorno del dì ch'è pria partito.
Tornan le brine in terra,
tornano al centro i sassi,
e con lubrici passi
torna all'oceano il rivo.
L'uomo quaggiù ch' è vivo
lunge da' suoi principi
porta un'alma celeste e un corpo frale;
tosto more il mortale
e torna l'alma in cielo
e torna il corpo in polve
dopo breve soggiorno;
tu sol del tuo tornar perdesti il giorno.
Torna, ché mentre porti empie dimore
al mio fiero dolore,
veggio del mio morir l'ore prefisse.
Torna, deh, torna Ulisse!
MELANTO
Duri e penosi
son gli amorosi
fieri desir;
ma alfin son cari,
se prima amari,
gli aspri martir;
ché s'arde un cor
è d'allegrezza un foco
nè mai perde in amor
chi compie il gioco.
Chi pria s'accende
procelle attende
da un bianco sen,
ma corseggiando
trova in amando
porto seren.
Si piange pria,
ma alfin la gioia ha loco,
né mai perde in amor
chi compie il gioco.
EURIMACO
Bella Melanto mia, graziosa Melanto,
il tuo canto é un incanto,
il tuo volto é magia.
Bella Melanto mia!
È tutto laccio in te ciò ch'altri ammaga,
ciò che laccio non è fa tutto piaga.
MELANTO
Vezzoso garruletto,
o come ben tu sai
ingemmar le bellezze,
illustrar a tuo pro
d'un volto i rai.
Lieto vezzeggia pur
le glorie mie
con tue dolci bugie.
EURIMACO
Bugia sarebbe
s'io lodando non t'amassi,
chè il negar d'adorar
confessata deità
è bugia d'empietà.
MELANTO, EURIMACO
De' nostri amor concordi
sia pur la fiamma accesa,
ch'amato il non amar arreca offesa.
EURIMACO
Né con ragion s'offende
colui che per offese amor ti rende.
MELANTO
S'io non t'amo, cor mio, che sia di gelo
l'alma ch'ho in seno a' tuoi begli occhi avante.
EURIMACO
Se in adorarti il cor non ho costante,
non mi sia stanza il mondo o tetto il cielo.
MELANTO, EURIMACO
Dolce mia vita sei,
lieto, mio ben, sarai;
nodo sì bel non si disciolga mai.
MELANTO
Come il desio m'invoglia,
Eurimaco, mia vita,
senza fren, senza morso
dar nel tuo sen alle mie gioie il corso!
EURIMACO
Come, oh, come volentieri
Cangerei questa reggia in un deserto
ove occhio curioso
non giungesse a veder i nostri errori;
MELANTO, EURIMACO
chè ad un focoso petto
il rispetto è dispetto
EURIMACO
Tu dunque t'affatica,
suscita in lei la fiamma!
MELANTO
Ritenterò quell'alma pertinace ostinata,
ritoccherò quel core
ch'indiamanta l'honore
MELANTO, EURIMACO
Dolce mia vita sei,
lieto mio ben sarai,
nodo sì bel non si disciolga mai
Scena 3 - Marittima. Nettuno sorge dal mare, poi Giove in Cielo.
NEREIDI
Fermino i Sibili
i venti e fremiti
Sibili il Mar.
SIRENE
Aura tranquilati
bell'onda calmati
l'addormentato deh non svegliar.
NEREIDI
Tacete Sirene se tace l'irato.
SIRENE
Nereidi tacete se tace Nettuno.
NEREIDI
Tacete venti silenzio Mar.
SIRENE
Ulisse dorme non lo destar.
NETTUNO
Superbo è l'huom ed è del suo peccato
cagion; benché lontana: il Ciel cortese
facile ahi troppo in perdonar l'offese!
Fa guerra col destin, pugna col fato,
tutt'osa, tutto ardisce l'humana libertade,
indomita si rende,
e l'arbitrio de l'uom col Ciel contende.
Ma se Giove benigno
i trascorsi de l'uom troppo perdona,
tenga egli a voglia sua nella gran destra
il fulmine ozioso. Tengalo invendicato,
ma non soffra Nettuno
col proprio dishonor l'human peccato!
GIOVE
Gran Dio de' salsi flutti,
che mormori e vaneggi
contro l'alte Bontà del Dio sovrano?
Me stabilì per Giove
la mente mia pietosa,
più ch'armata la mano.
Questo fulmine atterra,
la pietà persuade,
fa adorar le pietade,
ma non adora più, chi cade a terra.
Ma qual giusto desio d'aspra vendetta
furioso ti move
ad accusar l'alta bontà di Giove?
NETTUNO
Hanno i Feaci arditi
contro l'alto voler del mio decreto.
Han Ulisse condotto
in Itaca sua Patria onde rimane,
dall'uman ardimento,
dell'offesa Deitade
ingannato l'intento.
Vergogna, e non pietade
commanda il perdonar fatti sì rei.
Così di nome solo
son Divini gli Dei?
GIOVE
Non fien discare al Ciel le tue vendette,
che commune ragion ci tien'uniti
puoi da te stesso castigar gl'arditi.
NETTUNO
Hor già che non dissente,
il tuo divin volere
darò castigo al temerario orgoglio;
la nave loro andante
farò immobile scoglio.
GIOVE
Facciasi il tuo comando,
veggansi l'alte prove
abbian l'onde il suo Giove,
e chi andando peccò pera restando.
Scena 4 - Coro di Feaci in nave, poi Nettuno.
FEACI
In questo basso mondo
l'uomo può quanto vuol.
Tutto fa
ché 'l ciel del nostro oprar pensier non ha.
NETTUNO
Ricche d'un nuovo scoglio
sien quest'onde fugaci.
(dopo mutata la nave segue)
Imparino i Feaci in questo giorno,
che l'umano viaggio,
quand'ha contrario il ciel non ha ritorno.
Scena 5 - Ulisse si risveglia
ULISSE
Dormo ancora, o son desto?
Che contrade rimiro?
qual aria vi respiro
e che terren calpesto?
Chi fece in me, chi fece
il sempre dolce e lusinghevol sonno
ministro de' tormenti?
Chi cangiò il mio riposo in ria sventura?
Qual deità de' dormienti ha cura?
Oh sonno, oh mortal sonno!
fratello della morte altri ti chiama,
solingo, e trasportato
deluso et ingannato,
ti conosco ben io, padre d'errori.
Pur, degli errori miei son io la colpa.
Che, se l'ombra è del sonno
sorella, oppur compagna,
chi si confida all'ombra,
perduto alfin contro ragion si lagna.
Oh Dei sempre sdegnati,
Numi non mai placati
contro Ulisse, che dorme, anco severi,
vostri divini imperi
contro l'uman voler sien fermi e forti,
ma non tolgano, ohimè, la pace ai morti!
Feaci ingannatori,
voi pur mi prometteste
di ricondurmi salvo
in Itaca mia Patria
con le richezze mie, co' miei tesori,
Feaci mancatori, or non sò come
ingrati, mi lasciaste
in questa riva aperta,
su spiaggia erma e deserta,
misero, abbandanato,
e vi porta fastosi
e per l'aure, e per l'onde
così enorme peccato!
Se puniti non son sì gravi errori,
lascia Giove, deh lascia
de' fulmini la cura,
che la legge del Caso è più sicura.
Sia dalle vostre vele, falsissimi Feaci,
sempre Borea nemico,
e sian quai piume al vento o scogli in mare
le vostre infide navi,
leggere agli aquiloni, all'aure gravi.
Scena 6 - Minerva in abito da pastorello e Ulisse
MINERVA
Cara e lieta gioventù,
che disprezza empio desir,
non dà a lei noia, o martir
ciò che viene, e ciò che fu.
ULISSE
(fra sé parla e dice)
Sempre l'uman bisogno il Ciel soccorre.
Quel Giovinetto tenero negl'anni,
mal pratico d'inganni
forse che'l mio pensier farà contento.
MINERVA
Giovinezza è un bel tesor,
che fa ricco in gioia un sen,
er lei zoppo il tempo vien,
per lei vola alato Amor.
ULISSE
Vezzoso Pastorello,
deh, sovvieni un perduto
di consiglio, e d'aiuto, e dimmi pria
di questa spiaggia, e questo porto il nome.
MINERVA
Itaca è questa in sen di questo mare
porto famoso, e spiaggia
felice, avventurata:
faccia gioconda, e grata
a sì bel nome fai?
Ma tu come venisti, e dove vai?
ULISSE
Io greco sono et or di Creta vengo
per fuggir il castigo
d'omicidio eseguito.
M'accolsero i Feaci e m'han promesso
in Elide condurmi.
Ma dal cruccioso mar, dal vento infido
fummo a forza cacciati in questo lido.
Sin qui pastor, ebbi nemico il caso,
ma sbarcato al riposo
per veder quieto il mar, secondi i venti,
colà m'addormentai sì dolcemente,
ch'io non udii, non vidi
de' Feaci crudeli
la furtiva partenza, ond'io rimasi
con le mie spoglie, in su l'arena, ignudo
sconosciuto, e solo.
E 'l sonno che partì lasciommi il duolo.
MINERVA
Ben lungamente addormentato fosti,
ch'ancor ombre racconti, e sogni narri;
è ben accorto Ulisse,
ma più saggia è Minerva.
Tu dunque, Ulisse, i miei precetti osserva.
ULISSE
Chi crederebbe mai
le deità vestite in uman velo!
Si fanno queste mascherate in Cielo!
Grazie ti rendo, o protettrice dea.
Ben so che per tuo amore
furon senza periglio i miei pensieri.
Or consolato seguo
i tuoi saggi consigli.
MINERVA
Incognito sarai;
non conosciuto andrai, sinché tu vegga
dei Proci tuoi rivali
la sfacciata baldanza.
ULISSE
Oh, sfortunato Ulisse!
MINERVA
Di Penelope casta l'immutabil costanza.
ULISSE
Oh fortunato Ulisse!
MINERVA
Or t'adacqua la fronte
nella vicina fonte,
che anderai sconosciuto
in sembiante canuto.
ULISSE
Ad obedirti vado, indi ritorno.
MINERVA
Io vidi per vendetta,
incenerirsi Troia; ora mi resta,
Ulisse ricondur in patria, in Regno,
d'un'oltraggiata Dea, questo è lo sdegno.
Quinci imparate voi, stolti mortali,
al litigio del ciel non poner bocca,
il giudizio del ciel a voi non tocca,
che son di terra i vostri tribunali.
ULISSE
(trasformato in vecchio)
Eccomi, saggia Dea.
Questi peli che guardi,
sono di mia vecchiaia
testimoni bugiardi.
MINERVA
Or poniamo in sicuro
queste tue spoglie amate
entro quel antro oscuro
delle Naiadi Ninfe al Ciel sacrate.
MINERVA
Ninfe serbate le gemme e gli ori,
ULISSE
spoglie, e tesori,
tutto serbate,
Ninfe sacrate.
NAIADI
Bella Diva eccoci pronte
al tuo cenno, al tuo voler
e quest'antro e quella fonte
spruzza, e s'apre tuo voler.
Itaca lieta si mostri sì
al bel ristoro d'Ulisse un di.
Scena 7 - Minerva e Ulisse mentre l'altre Ninfe portano nell'antro il bagaglio.
MINERVA
Tu d'Aretusa al fonte in tanto vanne,
ove il Pastor Eumete,
tuo fido antico servo,
custodisce la gregge; ivi m'attendi
in sin che pria di Sparta io ti conduca
Telemaco tuo figlio,
poi d'eseguir t'appresta il mio consiglio.
ULISSE
Oh fortunato Ulisse,
fuggi dal tuo dolor,
l'antico error:
lascia il pianto;
dolce canto
dal tuo cor lieto disserra.
Non si disperi più mortale in terra.
Oh fortunato Ulisse!
Cara vicenda si può soffrir,
or diletto, or martir
or pace, or guerra,
non si disperi più mortale in terra.
***
Scena 10 - Reggia. Penelope, Melanto
PENELOPE
Donate un giorno o Dei
contento a'desir miei.
MELANTO
Cara amata Regina,
avveduta, e prudente,
per tuo sol danno sei,
men saggia io ti vorrei,
l'ossa del tuo marito
estinto, incenerito,
del tuo dolor non son poco né molto;
d'una memoria grata
s'appagano i defunti,
stanno i vivi coi vivi
in un congiunti.
Langue sotto i rigori
de' tuoi sciapiti Amori
la più fiorita età,
ma vedeva beltà di te si duole
che dentro ai lunghi pianti
mostri sempre in Acquario un sì bel sole.
Ama dunque che d'Amore
dolce amica è la beltà
dal piacer il tuo dolore
saettato caderà.
PENELOPE
Amor è un idol vano,
Amor è un vagabondo nume,
Amor all'incostanze sue non mancan piume,
del suo dolce sereno
è misura il baleno,
un giorno solo
cangia il piacer in duolo
sono i casi amorosi
de'Tesei, e de'Giasoni, ohime, son pieni
d'incostanza, e rigore,
pena, e morte, e dolore;
dell'amoroso Ciel, splendori fissi
san cangiarsi in Giasoni anco gli Ulissi.
MELANTO
Perché Aquilone infido turbi una volta il mar
distaccarsi dal lido
animoso nocchier non del lasciar;
sempre riguarda il Ciel, trova una stella
ha calma ogni procella.
Ama dunque che d'amore
dolce amica è la beltà,
dal piacer il tuo dolore
saettato caderà.
PENELOPE
Non dee di nuovo amar
chi misera penò
torna stolta a penar
chi prima errò.
SCENA 11 - Eumete solo.
EUMETE
Come, oh come mal si salva un Regio amante
da sventure, e da mali;
meglio i scettri regali
che i dardi de' Pastor imperla il pianto.
Seta vestono ed ori i travagli maggiori
è vita più sicura della ricca et illustre
la povera et oscura.
Colli, campagne, e boschi,
se stato uman felicità contiene,
in voi s'annida il sospirato bene; herbosi prati
in voi nacse il fior del diletto,
frutto di libertade in voi si coglie,
son delizie dell'uom le vostre foglie.
SCENA 12 - Iro et Eumete.
IRO
Pastor d'armenti può prati e boschi lodar,
avvezzo mandre a conversar.
Quest'herbe che tu nomini
sono cibo di bestie, pastor, e non degli homini.
Colà tra regi io sto,
tu fra gli armenti qui.
Tu godi e tu conversi tutto il di amicizie selvatiche,
io mangio i tuoi compagni, pastor, e le tue pratiche!
EUMETE
Iro, gran mangiatore,
Iro divoratore, Iro loquace!
Mia pace non perturbar, corri a mangiar!
Scena 13 - Eumete, poi Ulisse in sembianza da vecchio.
EUMETE
Ulisse generoso! Fu nobile intrapresa
lo spopolar, l'incenerir cittadi;
ma forse il Ciel irato nella caduta del trojano regno
volle la vita tua per vittima al suo sdegno.
ULISSE
Se del nomato Ulisse tu vegga in questo giorno
desiato il ritorno,
accogli questo vecchio povero
ch'ha perduto ogni mortal aiuto
nella cadente età, nell'aspra sorte;
le sia la tua pietà scorta alla morte.
EUMETE
Hospite mio sarai,
cortese albergo avrai.
Sono i mendici favoriti del Ciel, di Giove amici.
ULISSE
Ulisse é vivo! La patria lo vedrà,
Penelope l'havrà;
chè il fato non fu mai d'affetto privo,
maturano il destin le sue dimore,
credilo a me pastore!
EUMETE
Come lieto t'accoglio
mendica Deità.
Il mio lungo cordoglio
da te vinto cadrà.
Seguimi amico pur;
riposo avrai sicur.
ATTO II
Scena 1- Telemaco e Minerva sul carro.
TELEMACO
Lieto cammino,
dolce viaggio.
Passa il carro divino
come che fosse un raggio.
MINERVA, TELEMACO
Gli Dei possenti
navigan l’aure, solcano i venti.
MINERVA
Eccoti giunto alle paterne ville,
Telemaco prudente.
Non ti scordar già mai de' miei consigli,
ché se dal buon sentier travia la mente
incontrerai perigli.
TELEMACO
Periglio invan mi guida
se tua bontà m'affida.
Scena 2 - Eumete, Ulisse, Telemaco.
EUMETE
Oh gran figlio d'Ulisse!
È pur ver che tu torni
a serenar della madre i giorni.
Oh gran figlio d'Ulisse!
E pur sei giunto alfine
di tua casa cadente
a riparar l'altissime ruine.
Fugga il cordoglio e cessi il pianto.
Facciamo, o peregrino
all'allegrezze nostre honor col canto.
EUMETE, ULISSE
Verdi spiagge al lieto giorno,
rabbellite herbette e fiori!
Scherzin Paure con gli amori,
ride il ciel al bel ritorno.
TELEMACO
Vostri cortesi auspici a me son grati.
Manchevole piacer però m'alletta
ch'esser paga non puote Alma ch'aspetta.
EUMETE
Questo che tu qui miri
sopra gli omeri stanchi portar gran peso d’anni
e mal involto da ben laceri panni,
egli m’accerta che d’Ulisse il ritorno
fia di poco lontan da questo giorno.
ULISSE
Pastor, se nol fia ver, ch’al tardo passo
si trasformi in sepolcro il primo sasso,
e la morte che meco amoreggia d’intorno
hora porti ai miei dì l’ultimo giorno.
EUMETE, ULISSE
Dolce speme i cor lusinga,
lieto annunzio ogni alma alletta
s’esser paga non pote
alma ch’aspetta.
TELEMACO
Vanne pur tu veloce,
vanne Eumete alla reggia
e del mio arrivo fa che avvisata sia
la genitrice mia.
SCENA 3 - Telemaco, Ulisse.
(Scende dal cielo un raggio di fuoco, sopra il capo d’Ulisse, s’apre la terra e Ulisse si profonda)
TELEMACO
Che veggio, ohimè, che miro?
Questa terra vorace i vivi inghiotte,
apre bocche e caverne d’humano sangue ingorde,
e più non soffre del viator il passo,
ma la carne dell'huom tranghiotte il sasso.
Che prodigi son questi?
Dunque, Patria, apprendesti
a divorar le genti?
Rispondono anco ai vivi i monumenti?
Cosí dunque Minerva alla patria mi doni?
Questa é patria comune se di questo ragioni.
Ma se presta ho la lingua ho la memoria pigra.
Quel pelegrin ch'or hora
per dar fede a menzogne
chiamò sepolcri et invitò la morte
dal giusto Ciel punito
restò qui seppellito.
Ahi caro padre! Dunque in modo si strano
m'avvisa il tuo morir il Ciel di propria mano!
Ahi che per farmi guerra
fa stupori e miracoli la terra!
(Qui risorge Ulisse in sua propria forma)
Ma che nuovi portenti ohimè rimiro?
Fa cambio, fa permuta con la morte la vita!
Non sia più che chiami questa caduta amara,
se col morir ringiovenir s'impara.
ULISSE
Telemaco, convienti cangiar le meraviglie in allegrezze,
ché se perdi il mendico il padre acquisti.
TELEMACO
Benché Ulisse si vanti
di prosapia celeste
trasformarsi non punte huomo mortale,
tanto Ulisse non vale.
O scherzano gli Dei
o pur mago tu sei!
ULISSE
Ulisse sono! Testimonio é Minerva,
quella che te portò per l'aria a volo.
La forma cangiò a me come le aggrada
perché sicuro e sconosciuto vada.
TELEMACO
O padre sospirato!
Genitore glorioso!
M'inchino, o mio diletto!
Filiale dolcezza a lagrimar mi sforza.
ULISSE
O figlio desiato!
Pegno dolce amoroso!
ti stringo,
Paterna tenerezza il pianto in me rinforza.
TELEMACO, ULISSE
Mortal tutto confida e tutto spera,
ché quando il Ciel protegge
natura non ha legge:
l'impossibile ancor spesso s'avvera.
ULISSE
Vanne alla madre, va!
Porta alla reggia il piè!
Sarò tosto con te,
ma pria canuto il piè ritornerà.
Scena 4 - Reggia. Melanto, Eurimaco.
MELANTO
Eurimaco!
La donna insomma ha un cor di sasso.
Parola non la muove,
priego invan la combatte;
dentro del mal d'amore
sempre tenace ha l'alma,
o di fede o d'orgoglio
in ogni modo é scoglio.
Nemica o pur amante
non ha di cera il cor,
ma di diamante.
EURIMACO
E pur udii sovente la poetica schiera
cantar donna volubile e leggiera.
MELANTO
Ho speso invan parole, indarno prieghi
per condur la regina a nuovi amori.
L'impresa è disperata
odia nonché l'amar l'essere amata.
EURIMACO
Peni chi brama, stenti chi vuol,
goda fra l'ombre chi ha in odio il sol.
MELANTO
Penelope trionfa nella doglia e nel pianto,
fra piacere e contenti.
Vive lieta Melanto.
Ella in pene si nutre,
io fra diletti amando mi giocondo,
fra si vari pensier più bello é il mondo.
MELANTO, EURIMACO
Godendo, ridendo si lacera il duol.
Amiamo, godiamo e dica chi vuol.
Scena 5 - Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco, Penelope.
ANTINOO
Sono l'altre Regine
coronate di servi e tu a'amanti.
Tributan questi Regi
al mar di tua bellezza
un mar di pianti.
ANFIMONO, ANTINOO, PISANDRO
Ama dunque, sì, sì,
dunque riama un dì.
PENELOPE
Non voglio amar, no, no,
ch'amando penerò.
ANFIMONO, ANTINOO, PISANDRO
Ama dunque, sì, sì,
dunque riama un dì.
PENELOPE
Cari tanto mi sete
quanto più ardete;
ma, non m'appresso
all'amoroso gioco,
che lungi è bel,
più che vicino il foco.
Non voglio amar, no, no,
ch'amando penerò.
PISANDRO
La pampinosa vite,
se non s'abbraccia al faggio,
l'autun non frutta e non fiorisce il maggio,
e se fiorir non resta,
ogni mano la coglie,
ogni piè la calpesta.
ANFIMONO
Il bel cedro odoroso
vive; se non s'incalma,
senza frutto spinoso;
ma se s'innesta poi
figliano frutti e fior gli spini suoi.
ANTINOO
L'edera che verdeggia
ad onta anco del verno
d'un bel smeraldo eterno,
se non s'appoggia perde
fra l'erbose rovine il suo bel verde.
ANFIMONO, ANTINOO, PISANDRO
Ama dunque, sì, sì,
dunque riama un dì.
PENELOPE
Non voglio amar, non voglio!
Come sta in dubbio
un ferro se, se, fra due calamite
da due parti diverse egli è chiamato, così
sta in forse il core
nel tripartito amore.
Ma non può amar
chi non sa, chi non può
che piangere e penar.
Mestizia e dolor
son crudeli nemici d'amor.
ANFIMONO
All'allegrezze dunque, al ballo, al canto
PISANDRO
rallegriam la Regina.
ANTINOO
Lieto cor ad amar tosto s'inchina.
Scena 6
CORO
Dame in amor belle e gentil
amate allor che ride April.
Non giunge al sen gioia o piacer,
se tocca il crin l'éta senil.
Dunque al gioir, liete al goder.
Dame in amor belle e gentil.
Vaga ne'spin la rosa stà,
ma non nel gel bella è beltà,
perde il splendor torbido ciel,
ciglio in rigor non è più bel.
Scena 7 - Eumete e Penelope.
EUMETE
Apportator d'alte novelle vengo,
è giunto, on gran Regina,
Telemaco, tuo figlio,
e forse non fia vana
la speme ch'io t'arreco: Ulisse, il nostro Rege,
il tuo consorte è vivo,
e speriam non lontano il suo bramato arrivo.
PENELOPE
Per sì dubbie novelle
o s'addoppia il mio male
o si cangia il tenor delle mie stelle.
Scena 8 - Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco.
ANTINOO
Compagni, udiste: il vostro vicin rischio mortale
vi chiama a grandi e risolute imprese.
Telemaco ritorna e forse Ulisse.
Questa reggia da voi violata e offesa
dal suo signor aspetta
tarda bensí, ma prossima vendetta.
Chi d'oltraggiar fu ardito
neghittoso non resti
in compir il delitto.
In sin ad hora fu il peccato dolcezza,
hora il vostro peccar fia sicurezza,
ché lo sperar favori é gran pazzia
da chi s'offese pria.
ANFINOMO, PISANDRO
Han fatto l'opre nostre
inimici d'Ulisse.
L'oltraggiar l'inimico
unqua disdisse.
ANTINOO
Dunque l'ardir s'accresca,
e pria che Ulisse arrivi
Telemaco vicin togliam dai vivi!
ANFINOMO, PISANDRO, ANTINOO
Sì, sì, de' grandi amori
sono figli i gran sdegni,
quel fere i cori
e quest'abbatte i regni.
(Qui vola sopra il capo dei Proci un'aquila)
EURIMACO
Chi dall'alto n'ascolta
hor ne risponde, amici!
Mute lingue del Ciel son gli auspici.
Mirate, ohimè mirate
del gran Giove l'augello,
ne predice rovine, ne promette flagello!
Muova al delitto il piede
chi giusto il Ciel non crede.
ANFINOMO, PISANDRO, ANTINOO
Crediam al minacciar del Cielo irato,
chè chi non teme il Cielo
raddoppia il suo peccato.
ANTINOO
Dunque prima che gionga il filial soccorso,
per abbatter quel core
facciam ai doni almen grato ricorso,
perché ha la punta d'or lo stral d'Amore.
EURIMACO
L'oro sol sia
l'amorosa magia.
Ogni cor feminil se fosse pietà
tocco dall'or si spetra.
ANFINOMO, PISANDRO, ANTINOO
Amor é un'armonia,
sono canti i sospiri;
ma non si canta ben se l'or non suona:
non ama chi non dona.
Scena 9 - Boschereccia. Ulisse, poi Minerva in abito maestro.
ULISSE
Penir non può chi tien per scorta il cielo,
chi ha per compagno un Dio.
A grand'imprese, è ver, volto son io.
Ma fa peccato grave
chi, difeso dal ciel
il mondo pave.
MINERVA
O coraggioso Ulisse,
io faro che proponga
la tua casta consorte giuco
che affè fia gloria e sicurezza
e vittoria e a' Proci morte
allor, che l'arco tuo ti giunge
in mano e strepitoso tuon
fiero t'invita; saetta pur,
che la tua destra ardita
tutti conficcherà gli estinti al piano.
Io starò teco e con celeste lampo
atterrerò l'umanità soggetto:
Cadran vittime tutti alla vendetta,
che i flagelli del ciel non hanno scampo!
ULISSE
Sempre è cieco il mortale,
ma all'or si dee più cieco
chi'l precetto divin devoto osserva.
Io ti segno, Minerva.
Scena 10 - Eumete, Ulisse.
EUMETE
Io vidi, o pelegrin,
de'Proci amanti l'ardir
infermarsi, l'ardore gelar
negl'occhi tremanti
il cor palpitar.
Il nome sol d'Ulisse
quest'alme ree trafisse.
ULISSE
Godo anch'io,
né so come rido,
né so perchè.
Tutto gioisco,
ringiovanisco
ben lieto affè.
EUMETE
Andrem veloci.
Vedrai di quei feroci
fieri i costumi,
i gesti impudenti,
inonesti.
ULISSE
Non vive eterna
l'arroganza in terra,
la superbia mortal
tosto s'abbatte,
che il fulmine del Ciel gl'Olimpi atterra.
Scena 11 - Telemaco, Penelope.
TELEMACO
Del mio lungo viaggio i torti errori
già vi narrai, Regina. Hora tacer
non posso della veduta Greca,
la bellezza divina.
M'accolse Elena bella;
io mirando stupii.
Io vidi in que'begli occhi
dell'incendio Trojano
le nascenti scintille,
le bambine faville;
e ben prima potea
astrologo amoroso
da quei giri di foco
profetar fiamme e indovinar
ardori da incenerir città
non men che corì.
Si perdoni a quell'alma
il grave fallo.
PENELOPE
Beltà troppo funesta,
ardor iniquo di rimembranze indegno.
Memoria così trista
disperda pur l'oblio
vaneggia la tua mente,
folleggia il tuo desio.
TELEMACO
Non per vana follia Elena ti nomai,
ma perchè essendo nella famosa Sparta
circondato improvviso dal volo d'un augel
destro e felice, Elena,
ch'è maestra dell'indovine scienze e degl'auguri
tutta allegra mi disse
ch'era vicino Ulisse.
PENELOPE
Voglia il ciel che mia vita,
anco sostenti debole, fil di speme,
e, come a picciol seme Natura insegna
ad ingrandirsi in pianta
Così, dentro al mio petto
nasca da picciol seme,
dentro al mio petto,
alto diletto.
Scena 12 - Antinoo, Eumete, Iro, Ulisse, Telemaco, Penelope, Pisandro, Anfinomo
ANTINOO
Sempre villano Eumete. Hai qui condotto
un infesto mendico, un noioso importuno
che, con sue voglie ingorde, non farà
che guastar le menti liete.
EUMETE
L'ha condotto fortuna alle case d'Ulisse
ove pietà s'aduna.
ANTINOO
Rimanga ei teco a custodir la gregge
e qui non venga dove civile nobiltà
commanda e regge.
EUMETE
Civile nobiltà non è crudele.
ANTINOO
Arrogante plebeo, insegnar opre
eccelse,
a te, vil uom, non tocca,
né dee parlar di re
villana bocca;
e tu, povero indegno,
fuggi da questo regno.
IRO
Pàrtiti, movi il piè.
Se sei qui, qui per man ...
per mangiar
son pria di te.
ULISSE
Se tanto mi concede l'alta bontà regale,
trarrò il corpaccio tuo
sotto il mio piede, mostruoso animale!
IRO
E che sì, rimbambito guerriero,
Vecchio importuno, e che sì, che ti strappo
i peli della barba ad uno ad uno.
ANTINOO
Vediam, Regina, in questa bella coppia
d'una lotta di braccia stravagante duello.
ULISSE
La gran disfida accetto, cavaliero panciuto.
IRO
(che fa alla lotta)
Su dunque! Su, su.
Alla ciuffa, alla lotta, su, su!
(Segue la lotta)
Son vinto, ohimè!
ANTINOO
Tu vincitor perdona
a chi si chiama vinto.
Iro puoi ben mangiar,
ma non lottar.
PENELOPE
Valoroso mendico!
In corte resta honorato e sicuro,
chè non è sempre vile
chi veste manto povero et oscuro.
ANFIMONO
Generosa Regina, Anfimono a te s'inchina,
e ciò che diede larga e prodiga sorte
dona a te, per te aduna sua novella fortuna,
questa regal corona che di comando è segno,
ti lascia in testimon di ciò che dona.
Dopo il dono del core
non ha dono maggiore.
PENELOPE
Anima generosa, prodigo cavaliere!
Ben sei d'impero degno,
ché non merita men chi dona un regno.
PISANDRO
Se t'invoglia il desio
d'accettar regni in dono
ben so donar anch'io
et anch'io Rege sono.
Queste pompose spoglie,
questi regali ammanti
confessano superbi
i miei ossequi
ai tuoi canti.
PENELOPE
Nobil contesa e generosa gara,
ove amator discreto
l'arte del ben amar donando impara.
ANTINOO
Il mio cor che t'adora
non ti vuol sua Regina;
l'anima che s'inchina
ad adorarti.
Deità vuol chiamarti
e, come Dea,
t'incensa coi sospiri,
fa vittime i desiri
e con quest'ori
t'offre voti ed onori.
PENELOPE
Non andran senza premio
opre cotanto eccelse,
chè donna quando dona
se non è prima accesa allor s'accende,
e donna quando toglie
se non è prima resa al cor s'arrende.
Hor t'affretta Melanto e qui m'arreca
l'arco del forte Ulisse e la faretra:
e chi sarà di voi
con l'arco poderoso
saettator più fiero
havrà d'Ulisse e la moglie e l'impero.
TELEMACO
Ulisse, e dove sei?
Che fai chè non ripari le tue perdite
e in un gli affanni miei?
PENELOPE
Ma che promise bocca facile
ahi troppo discordante dal core?
Numi, Numi del cielo! S'io '1 dissi
snodaste voi la lingua, apriste i detti,
saran tutti del cielo e delle stelle
prodigiosi effetti.
ANFINOMO, ANTINOO, PISANDRO
Lieta, soave gloria,
grata e dolce vittoria!
Cari pianti degli amanti!
Cor fedele, costante sen
cangia il torbido in seren.
PENELOPE
Ecco l'arco d'Ulisse,
anzi l'arco d'amor
che dee passarmi il cor.
Anfimono, a te lo porgo:
chi fu il primo a donar
sia il primo a saettar.
ANFIMONO
Amor, se fosti arciero in saettarmi
hor dà forza a quest'armi,
chè vincendo dirò:
S'un arco mi ferì
un arco mi sanò.
(Si prova di caricar l'arco e non può)
Il braccio non vi giunge,
il polso non v'arriva.
Ceda la vinta forza,
col non poter anche il desio s'ammorza.
PISANDRO
Amor, picciolo Nume
non sa di saettar:
se trafigge i mortali
son le saette sue
sguardi, non strali,
ch'a Nume pargoletto
negano d'obbedir l’arme di Marte.
Tu, fiero Dio, le mie vittorie affretta,
il trionfo di Marte a te s'aspetta!
(Qui finge di caricar l'arco e non può)
Com'intrattabile, com'indomabile
l'arco si fa!
Quel petto frigido
protervo e rigido
per me sarà.
ANTINOO
Ceda Marte et Amore ove impera beltà.
Chi non vince in honor non vincerà.
Penelope, m'accingo
in virtù del tuo bello all'alta prova,
virtù, valor non giova.
(S'affatica a caricar l'arco e non può)
Forse forza d'incanto
contende il dolce vanto.
Ah ch'egli é vero ch'ogni cosa
fedele ad Ulisse si rende,
e sin l'arco d'Ulisse
Ulisse attende!
PENELOPE
Son vani, oscuri pregi
i titoli de' regi,
senza valor.
Il sangue ornamento regale
illustri scettri a sostener non vale.
Chi simile ad Ulisse
virtute non possiede
de' tesori d'Ulisse
è indegno erede.
ULISSE
Gioventute superba
sempre valor non serba,
come vecchiezza humile
ad ogn'or non è vile.
Regina! In queste membra
tengo un'alma sì ardita
ch'alla prova m'invita.
Il giusto non eccedo:
rinunzio al premio e la fatica io chiedo.
PENELOPE
Concedasi al mendico
la prova faticosa!
Contesa gloriosa contro petti virili
un fianco antico che tra rossori involto
darà ‘l foco d'amor vergogna ai volti.
ULISSE
Questa mia destra humile
s'arma a tuo conto, o Cielo!
Le vittorie apprestate, o sommi Dei,
s'a voi son cari i sacrifizi miei!
PISANDRO, ANFINOMO, ANTINOO
Meraviglie, stupori,
prodigi estremi!
ULISSE
Giove nel suo tuonar grida vendetta!
Cosí l'arco saetta.
Minerva altri rincora, altri avvilisce!
Cosí l'arco ferisce.
Alle morti, alle stragi, alle ruine!
ATTO III
Scena 1 - Iro solo
IRO
O dolor, o martir che l'alma attrista!
O mesta rimembranza di dolorosa vista!
Io vidi i Proci estinti, estinti i Proci.
I Proci, furo uccisi.
Ah, ch'io perdei le delizie del ventre e della gola!
Chi soccorre il digiun, chi lo consola
con flebile parola?
I Proci, Iro, perdesti
i Proci, i padri tuoi.
Sgorga pur quanto vuoi
lacrime amare e meste,
chè padre è chi ti ciba e chi ti veste.
Chi più della tua fame
satollerà le brame?
Non troverai chi goda
empir del vasto ventre
l'affamate caverne;
non troverai chi rida
del ghiotto trionfar della tua gola.
Chi soccorre il digiun, chi lo consola?
Infausto giorno a mie ruine armato:
poco dianzi mi vinse un vecchio ardito,
hor m'abbatte la fame, dal cibo abbandonato.
L'ebbi già per nemica,
l'ho distrutta, l'ho vinta;
hor troppo fora vederla vincitrice.
Voglio uccider me stesso e non vo' mai
ch'ella porti di me trionfo e gloria!
Che si toglie al nemico é gran vittoria.
Coraggioso mio core,
vinci il dolore!
E pria ch'alla fame nemica egli soccomba
vada il mio corpo a disfamar la tomba!
MELANTO
E quai nuovi rumori,
e che insolite stragi,
e che tragici amori!
Chi fu l'ardito che osò
con nuova guerra, la pace intorbidar
ch'hai tu negl'occhi?
PENELOPE
Vedova amata, vedova Regina,
nuove lagrime appresto
in somma, all'infelice
ogni amore è funesto!
MELANTO
Penelope, Penelope!
PENELOPE
Dell'occhio la pietate
si risente all'eccesso,
ma concitar il core
a sdegno ed a dolore,
non m'è concesso.
EUMETE
Forza d'occulto affetto
raddolcisce il tuo petto.
Chi, con un arco solo,
isconosciuto diede
a cento morti il duolo.
Rallegrati Regina,
egli era Ulisse.
PENELOPE
Sei buon pastor Eumete
se persuaso credi
contro quello che vedi.
EUMETE
Il canuto, l'antico,
il povero, il mendico,
rallegrati Regina, egli era Ulisse.
PENELOPE
Credulo è il volgo e sciocco,
e la tromba mendace della fama fallace.
EUMETE
Ulisse, Ulisse io vidi, sì, sì.
PENELOPE
Relator importuno,
consolator nocivo!
EUMETE
Io stesso il vidi e 'l so.
TELEMACO
È saggio Eumete, è saggio!
È ver quel ch'ei racconta.
Il comparir sotto mentito aspetto,
sotto vecchia sembianza,
arte fu di Minerva, e fu suo dono.
PENELOPE
Troppo egli è ver, che gli uomini qui in
terra servon di gioco agli immortali Dei.
Se ciò credi, ancor tu lor gioco sei.
Lasciano ch'arda il foco e agghiacci il gelo;
figlian le cause lor piaceri e mali.
TELEMACO
Togliti in pace il nero.
EUMETE
Io lo dirò, ti seguirò.
Scena 2
MINERVA
Fiamma è l'ira, o gran Dea,
foco è lo sdegno.
Noi sdegnose ed irate,
incenerito abbiam di Troja il Regno.
Offese da un Trojan, ma vendicate!
Il più forte fra Greci ancor contende
col destin, con il Fato:
Ulisse addolorato.
GIUNONE
Vada, vada il troiano impero
anco in peggio di polvere fugace!
MINERVA
Dalle nostre vendette
nacquero in lui gli errori;
delle stragi dilette
son figli i suoi dolori.
Convien al nostro Nume, il vindice
salvar, placar gli sdegni del Dio de'salsi flutti.
GIUNONE
Procurerò la pace
ricercerò il riposo d'Ulisse.
Gran Giove, alma de'Dei,
Dio d'elementi, mente dell'Universo,
inchina le tue grazie a'prieghi miei.
Ulisse troppo errò
troppo, ahi, troppo soffrì:
Tornalo in pace un dì.
Fu divin il voler che lo destò;
Ulisse troppo errò.
GIOVE
Per me non avrà mai vota preghiera Giuno,
ma placar pria conviensi, lo sdegnato Nettuno.
Odimi, odimi, o Dio del mar:
Fu ministro del Fato Ulisse, il forte
soffrì, vinse, pugnò campion celeste,
Nettun, pace o Nettun! Perdona il suo duolo,
il suo duolo, al mortal ch'afflitto il rese.
Ecco scrive il destin le sue difese;
non è colpa dell'uom se 'l cielo tuona.
NETTUNO
Son ben quest'onde frigide,
son ben quest'onde gelide,
ma sentono l'ardor di tua pietà.
Nei fondi algosi ed infimi,
nei cupi acquosi termini,
il decreto di Giove anco si sa.
Contro i Feaci arditi e temerarii,
mio sdegno si sfogò:
pagò il delitto pessimo
la nave che restò.
Viva, viva felice pur,
viva Ulisse sicur!
CORO
Giove amoroso, fa il ciel pietoso nel perdonar
Benché abbia il gelo,
non men del Cielo
Pietoso è il mar.
Prega, mortal, deh prega,
che sdegnato e pregato.
Un Dio si piega.
MINERVA
Comanderò la pace, Giove, come a te piace.
Scena 3
ERICLEA
Ericlea, che vuoi far?
Vuoi tacer o parlar?
Se parli tu consoli,
obbedisci se taci.
Sei tenuta a servir, obbligata ad amar.
Vuoi tacer o parlar?
Ma ceda all'obbedienza la pietà:
non si dee sempre dir ciò che si sa.
Medicar chi languisce,
o che diletto! Ma che inguirie
e dispetto scoprir l'altrui
pensier; bella cosa tal volta è un bel tacer.
È ferita crudele il poter con parole
consolar chi si duole
e non lo far.
Ma del pentirsi alfin
assai lunge è il tacer
più che 'l parlar.
Bel segreto taciuto tosto scoprir si può,
una sol volta detto celarlo non potrò.
Ericlea che farai? tacerai, tu?
Insomma, un bel tacer mai scritto fu.
TELEMACO
Troppo incredula!
EUMETE
Incredula troppo!
TELEMACO
Troppo ostinata!
EUMETE
ostinata troppo!
TELEMACO
È più di vero
EUMETE
di vero è più
che'l vecchio arciero Ulisse fu.
TELEMACO
Eccolo che sen viene e la sua forma tiene.
EUMETE
Ulisse, egli è.
TELEMACO
Eccolo affè!
ULISSE
O delle mie fatiche meta dolce e soave,
porto caro amoroso
dove corro al riposo.
PENELOPE
Fermati cavaliero,
incantator o mago.
ULISSE
Così del tuo consorte,
così dunque t'appressi
ai lungamente sospirati amplessi?
PENELOPE
Consorte io sono,
ma del perduto Ulisse.
ULISSE
Quell'Ulisse son io
delle ceneri avanzo,
residuo delle morti,
degli adulteri e ladri fiero castigator
e non seguace.
PENELOPE
Non sei tu 'l primo ingegno che, con nome mentito,
tentasse di trovar commando o regno.
ERICLEA
Or di parlar è tempo.
È questo Ulisse,
casta e gran donna.
Io lo conobbi all'ora che, nudo, al bagno venne,
ove scopersi del feroce cinghiale,
l'onorato segnale. Loquace femminil garrula
lingua per comando d'Ulisse,
con fatica lo tacque, e non lo disse.
PENELOPE
Creder ciò ch'è desio m'insegna Amore;
serbar costante il sen comanda onore.
Dubbio pensier, che fai?
La fé negata ai prieghi del buon custode Eumete,
di Telemaco il figlio,
alla vecchia nutrice anco si nieghi,
che il mio pudico letto
sol d'Ulisse è ricetto.
ULISSE
Del tuo casto pensiero
io so 'l costume.
So che 'l letto pudico,
che tranne Ulisse solo altro non vide,
ogni notte da te s'adorna e copre con un serico
drappo, di tua mano contesto, in cui si vede col virginal
suo coro, Diana effiggiata.
PENELOPE
Or sì ti riconosco,
or sì ti credo,
antico possessore del combattuto core.
Onestà mi perdoni!
Dono tutto ad Amor
le sue ragioni.
ULISSE
Sciogli la lingua,
Deh, sciogli per allegrezza i nodi!
sciogli un sospir, un ohimè
la voce snodi.
PENELOPE
Illustratevi o cieli,
rinfioratevi o prati.
Aure gioite!
Gl'augelletti cantando,
i rivi mormorando
or si rallegrino!
Quell'herbe verdeggianti,
quell'onde susuranti
or si consolino.
Giacché sorta è felice, dal cenere Troian,
la mia Fenice.
ULISSE
Sospirato mio sole!
PENELOPE
Rinnovata mia luce!
ULISSE
Porto quieto e riposo!
PENELOPE
Bramato sì, ma caro!
ULISSE
bramato sì, ma cara!
PENELOPE
Per te gli andati affanni
a benedir imparo.
ULISSE
Non si rammenti
più de'tormenti!
PENELOPE
Sì, sì, vita, sì, sì!
ULISSE
Tutto è piacere,
tutto è piacer!
PENELOPE
Sì, sì, vita, sì, sì!
Fuggan dai petti
dogliosi affetti!
ULISSE
Sì, sì, core, sì, sì!
PENELOPE
Tutto è godere!
tutto è goder!
PENELOPE
Del piacer, del goder
ULISSE
venuto è il dì.
Sì, sì, vita!
Sì, sì, core, sì, sì!
Nessun commento:
Posta un commento