domenica 26 aprile 2009

Claudio Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in patria (1641)

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Claudio Monteverdi: Il ritorno di Ulisse in patria (1641)


Volto di Ulisse (da un gruppo
scultoreo rinvenuto nella Villa
di Tiberio a Sperlonca)
Il ritorno di Ulisse in patria debuttò a Venezia nella stagione del carnevale del 1640 e venne replicata, lo stesso anno, a Bologna. Quindi venne rappresentata nuovamente a Venezia nella stagione successiva per finire, più tardi, fra le composizioni ritenute perdute. Solo nel 1881 si scoprì che alla Biblioteca di Vienna era conservata una copia manoscritta della partitura, intitolata "Il ritorno di Ulisse". Ciò fece inizialmente pensare alla mano di Monteverdi, ma molte differenze fra lo spartito e il libretto autografo di Badoaro, conservato a Venezia, misero dei dubbi fra gli studiosi e i ricercatori sulla veridicità della prima attribuzione dello storico A.W. Ambros. Oggi, benché è possibile che parti della musica possano essere state riviste da altri autori, è indubbio che l'opera nel suo complesso sia sostanzialmente attribuibile a Monteverdi e molto prossima a come l'autore l'aveva concepita.

Purtroppo il manoscritto presenta numerosi problemi. In primo luogo riporta un’organizzazione del materiale in tre atti, mentre le copie del libretto del Badoaro ne riportano cinque. Il secondo problema riguarda l’integrità del testo: il manoscritto viennese, pur non presentando segni di danneggiamento, risulta incompleto giacché mancano la terza scena dell’atto I, la sesta dell’atto II, la seconda dell’atto III, la musica del coro di Naiadi che apre la scena nona dell’atto I, e quella del coro di Itacesi che chiude l’opera. Per ovviare a tali mancanze in molte incisioni discografiche (Harnoncourt, Jacobs e Garrido, ad esempio) si ricorre all’inserimento di materiale ricavato da altri lavori monteverdiani o da altri autori.

Come tutte le opere dell’epoca (ad eccezione de L’Orfeo perché concepito come lavoro d'accademia e non non destinato al teatro), Il ritorno d’Ulisse in patria presenta in partitura solo la linea vocale e le indicazioni del basso continuo, inframezzato da sinfonie e ritornelli suddivisi su tre o cinque righi, ma non vi è alcuna indicazione relativa alla strumentazione. Ciò pone oggi numerosi interrogativi in merito alla interpretazione suscitando dibattiti sulla orchestrazione e sugli strumenti da utilizzare.

Pagina della partitura manoscritta del
"Ritorno di Ulisse in Patria"
conservata alla Biblioteca di Vienna.
Il libretto di Giacomo Badoaro, amico di Monteverdi e membro dell’Accademia degli Incogniti, drammatizza con una certa libertà le vicende contenute i libri XII-XXIII dell’Odissea di Omero. Il testo non fu mai stampato ed è attualmente conservato in sette libretti manoscritti (tre dei quali posseduti dalla Biblioteca Marciana di Venezia, altri tre dalla Biblioteca del Museo Correr di Venezia e l'ultimo dalla Biblioteca della Casa Goldoni). Alcuni critici hanno giudicato modesta la qualità dei versi del Bodoaro, che per Monteverdi scriverà ancora un secondo libretto per l'opera, perduta, de Le nozze di Enea con Lavinia del 1641.

Il ritorno di Ulisse in patria non è ancora un'opera barocca propriamente detta. Le parole e l'azione - che nell'opera barocca tendono ad assumere un'importanza sempre minore - svolgono ancora un ruolo centrale: la musica non è mai fine a se stessa, ma serve a sottolinearne il significato. L'azione si svolge su tre piani disposti in ordine gerarchico: il piano del fato con le sue tre forze (Fortuna, Tempo e Amore), in scena nel prologo insieme alla Fragilità Umana, che dichiara la sua impotenza di fronte al destino; il piano degli dei - anch'essi sottoposti al fato - in particolare Poseidone, avverso a Ulisse, e Minerva, che in alcuni punti compare accanto al suo protetto, segnando un punto di contatto tra divino ed umano; infine, il piano dei personaggi umani, che coincide con il livello dell'azione vera e propria. Il lavoro abilmente articolato non manca di forza espressiva e il numero abbondante di personaggi è caratterizzato con straordinaria adeguatezza affidando ai minori momenti di distrazione ma, al tempo stesso di supporto al tema del dramma.

Il ritorno di Ulisse in patria come L'incoronazione di Poppea e la precedente L'Orfeo rappresentano la trilogia operistica fondamentale e più conosciuta di Monteverdi. Grazie al rinnovamento musicale, alle evoluzioni stilistiche e di ricerca teatrale posti in queste opere, come contenuti di base per lo sviluppo e il cambiamento dell'intrattenimento musicale, si possono scorgere i presupposti che porteranno al concepimento e al consolidamento dell'opera lirica modernamente intesa.


Dischi consigliati

E' ancora disponibile sul mercato la prima registrazione integrale dell'opera effettuata nel 1971 con Nikolaus Harnoncourt alla direzione del Concentus Musicus Wien (triplo cd Teldec "Das Alte Werk" - UPC: 0825646961429). Più recente è l'edizione curata da René Jacobs alla guida del Concerto Vocale (3 cd Harmonia Mundi - UPC: 794881966523). Quella che ci sentiamo di consigliare è tuttavia l'incisione di Gabriel Garrido con l'Ensemble Elyma (3 cd K617 - UPC: 3383510000911). 
In DVD è disponibile la versione video dell'opera diretta da Nikolaus Harnoncourt con l'orchestra La Scintilla e registrata nel 2002 all'Opernhaus di Zurigo (DVD Arthaus Musik - UPC: 807280035391).



La vicenda

Atto primo

Nel prologo l'Umana Fragilità, il Tempo, la Fortuna e l'Amore espongono brevemente chi sono e quali sono i loro rispettivi poteri. Nella reggia di Itaca la regina Penelope attende da lungo tempo il ritorno del marito Ulisse dalla guerra di Troia. Invano la vecchia nutrice del re, Euriclea, cerca di consolarla dell'assenza del marito perché il ricordo di Ulisse è sempre vivo nel pensiero della fedele consorte, che si rifiuta di accettare le proposte di matrimonio fattele da vari principi stranieri, i Proci, ormai stabilitisi alla reggia da diverso tempo. L'ancella Melanto, d'accordo con il suo amante Eurimaco, seguace dei Proci, non perde l'occasione di perorare la causa dei pretendenti. Penelope però resta irremovibile nella speranza che Ulisse possa ancora tornare a casa.

Intanto Ulisse è sbarcato sulle rive di Itaca dalla nave dei Feaci. Questo fatto ha enormemente irritato Nettuno, il Dio del mare ostile ad Ulisse, che chiede a Giove il permesso di punire i Feaci trasformando la loro nave in scoglio. Ulisse, svegliatosi sulla spiaggia e ritrovatosi da solo, non riconosce la sua terra. In suo soccorso giunge Minerva, sua dea protrettrice, vestita da pastorello, e gli rivela che il paese in cui si trova è Itaca. All'udire questa notizia Ulisse si rallegra. A questo punto Minerva si fa da lui riconoscere e gli ordina di presentarsi, dopo essersi travestito da vecchio mendico, al suo fedele pastore Eumete. Intanto le ricche vesti e i gioielli di Ulisse verranno nascosti in un antro scavato tra le rocce.

Atto secondo

Ulisse si presenta vestito da mendicante al pastore Eumete, che ha appena cacciato Iro, un parassita dei Proci, e gli preannuncia il prossimo ritorno del re. Rallegratosi di ciò, il fedele pastore accoglie l'ospite. Nel frattempo Minerva è andata da Telemaco, il giovane figlio di Ulisse che si trovava in viaggio a Sparta, e lo trasporta ad Itaca sul suo carro divino. L'incontro fra padre e figlio è ricco di commozione: Telemaco inizialmente non riconosce il genitore, ma d'un tratto la terra si apre e il mendicante sprofonda per far riemergere subito dopo Ulisse nelle sue vere sembianze. A questo punto Ulisse e Telemaco si abbracciano pregustando la gioia del ritorno alla reggia e della sconfitta degli arroganti Proci. Costoro, intanto, continuano con le loro profferte amorose a Penelope, che però rimane irremovibile nel respingerle.

Eumete va alla reggia annunciando il prossimo ritorno di Ulisse: la regina, turbata ed incredula, si allontana, mentre i Proci, sbigottiti, meditano di vendicarsi sulla persona di Telemaco. Ma un'aquila che vola sulle loro teste predice rovine e flagelli, ed essi pensano allora di corrompere Penelope proponendole doni meravigliosi. Ulisse intanto prepara con Minerva i particolari del suo arrivo alla reggia al fianco del fedele Eumete. Telemaco, recatosi dalla madre, le fa l'elogio di Elena, che egli ha incontrato a Sparta, dicendole che gli ha predetto il ritorno del padre e la morte dei Proci.

Atto terzo

Eumete ha condotto alla reggia Ulisse sempre travestito da mendicante e i Proci lo rimproverano aspramente. Insultato dal parassita Iro, Ulisse lo vince facilmente alla lotta. I tre più potenti fra i Proci, Antinoo, Pisandro e Anfinomo portano ricchi doni a Penelope perché scelga uno di loro come nuovo sposo. La regina decide di organizzare una gara fra i principi promettendo che sposerà chi di loro riuscirà meglio nel tiro dell'arco. Ma invano i tre Proci, uno ad uno, provano a caricare l'arco che era appartenuto ad Ulisse: non riescono neanche a tenderlo. Chiesta ed ottenuta l'autorizzazione di Penelope, Ulisse afferra l'arco e lo tende, minacciando vendetta e distruzione. Davanti al velario il parassita Iro, disperato, narra la terribile scena dell'uccisione dei Proci: morti tutti i suoi protettori, altro non gli resta che andarsene.

Ormai siamo prossimi al trionfo di Ulisse: Giunone, la dea che più gli era ostile, cede alle preghiere di Minerva e di Giove ed abbandona il suo rancore verso l'eroe. Alla reggia, Penelope, in preda alla più viva agitazione, fatica a riconoscere nello straniero che l'ha liberata dai Proci il prode Ulisse. Invano Telemaco, Eumete e la vecchia nutrice Euriclea (che vedendolo nudo nel bagno gli ha scorto il segno di un'antica ferita di cinghiale) le portano prove sempre più valide dell'identità di Ulisse. Solo il re in persona riuscirà alla fine a convincerla, ricordando i particolari di una coperta da letto, da lei stessa tessuta. Finalmente riuniti, dopo tanti anni di separazione e di sventure, Penelope ed Ulisse danno libero sfogo alla loro gioia.


- Il libretto dell'opera




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