venerdì 22 maggio 2009

Francesco Cavalli: Messa concertata (1656)



Francesco Cavalli: Messa Concertata (1656)


Giunto a Venezia nel 1616 appena quattordicenne, "Messer Francesco Caletto dello Cavalli" fu assunto tra i cantori della Cappella di San Marco con un compenso di 80 ducati, che diventarono 140 quando nel 1639 ottenne l'incarico di secondo organista della basilica ducale, dopo aver prestato servizio all'organo della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. Cavalli si distinse subito non solo pelle sue doti di buon cantore ed abile organista, ma anche per "l'esquisitezza delle sue celebratissime composizioni . rinunciando tuttavia, forse in virtù di un carattere "umile e solitario", ad affidarle alle stampe, come auspica invece C.B. Volpi nella dedica a Cavalli posta al Terzo Libro dei Madrigali di G. Rovella (1645). Cantore, organista e compositore, quindi, Cavalli fu personaggio di spicco nel mondo musicale veneziano e gli vennero commissionate musiche in occasione di importanti avvenimenti liturgico-celebrativi: il 25 gennaio 1660 l'ambasciatore di Francia a Venezia, per festeggiare la pace universale dei Pirenei, fece eseguire nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, una solenne Messa e Te Deum di Cavalli, in questa occasione definito "le premier homine d'Italie dans son art". Questo senso profondo della liturgia quale rito e solennizzazione della festa è la caratteristica principale della produzione sacra seicentesca, nei parametri della quale va ricondotta la produzione di Cavalli, che si nutre della preziosa eredità compositiva del grande Claudio Monteverdi, suo probabile maestro.

Prima di divenire Maestro di Cappella a San Marco e quindi di alloggiare presso la ''Casa Canonica" situata a nord della basilica, Cavalli abitò in un palazzo sul Canal Grande e qui probabilmente, dopo aver sempre composto per molti anni solo mosso dalla "fantasia", decise di lasciarsi convincere dall'editore Alessandro Vincenti ad affidare alla stampe una serie eterogenea di composizioni destinate alla chiesa. La raccolta esce nel 1656 e titola: MUSICHE SACRE CONCERNENTI Messa, e Salmi Concertati con Istromenti lumi Antifone et Sanate, a Due. 3, 4. .5, 6, 8, 10, 12 Voci. Così come la Selva Morale e Spirituale di Claudio Monteverdi, questa raccolta offriva tutto il materiale necessario ad ogni Maestro di Cappella che dovesse "allestire" una solenne liturgia vespertina o una Messa Solenne. E' proprio in rapporto alla solennità della festa che si stabilisce la presenza della musica: le feste più importanti della liturgia e della tradizione veneziana - feste che prevedevano a San Marco o in altre chiese la presenza del Doge, del Serenissimo Senato, cui si affiancavano spesso ambasciatori e sovrani forestieri - necessitavano della presenza di tutta la cappella musicale - cantori e strumentisti - affinché la "Messa solenne" avesse "musiche senza intermissione, tutte rare & elette".

Quando Monteverdi arrivò nel 1613 a Venezia per rivestire la carica di Maestro di Cappella a San Marco si adoprò per aumentare l'organico, con l'assunzione di valenti cantori, tra cui lo stesso Cavalli, e provvedendo a far stipendiare regolarmente gli strumentisti. Nel 1616 la cappella di San Marco comprendeva 24 cantori e 16 strumentisti. 2 organisti, un maestro (Monteverdi) ed un vice-maestro (Marc'Antonio Negri). Il successore di Monteverdi. Giovanni Rovetta. nel 1653 dà relazione ai Procuratori di San Marco sulla presenza di soli 28 cantori regolarmente stipendiati e auspica di poter "giungere almeno al numero di 32., cioè otto per parte": bassi, tenori, alti e soprani. Sulla composizione dell'orchestra della cappella ducale si rileva - mediante i documenti che riportano le note di pagamento - la presenza di due cornetti, due tromboni (uno contrabbasso), uno o due fagotti, due o tre violoni, e un violone contrabasso: per altri strumenti non precisati possiamo pensare ad un ulteriore numero di violini, ai quali si aggiungevano tromboni e tiorbe in occasione di feste particolarmente importanti. Naturalmente a seconda delle solennità e della finalità della festa gli strumenti non solo accompagnavano il coro, ma suonavano certamente all'entrata come ali uscita della chiesa, e "dopo l'Epistola " (mentre celebrante e ministri recitavano il Graduale). Nella Tavola che riporta l'intero contenuto della raccolta del 1656 di Francesco Cavalli si legge: Messa à 8. voci. Concertata con due violini, è Violoncino. Ripieni, et altri Strumenti, se piace. Sono racchiuse in questo titolo le caratteristiche di un particolare stile compositivo giunto a Cavalli sul solco della grande tradizione marciana dei Gabrieli ed insieme del dettato della Seconda Pratica monteverdiana, conosciuta da Cavalli quale discepolo e indirettamente tramite i lavori dati alle stampe, non da ultimo la Selva del 1640.

Il termine Messa Concertata compare attorno al 1614 e definisce una composizione che prevede una scrittura con parti strumentali indipendenti dal basso continuo e l'utilizzo di voci soliste in contrapposizione al tutti. La Messa Concertata di Cavalli si allinea da un lato alla tradizione dei cori spezzati che divide il coro in due parti (4 + 4 voci ciascuna), con l'aggiunta di due parti di violino ed un violoncino" (leggi violoncello) ed indicando la possibilità di inserire dei tromboni o altri strumenti ad libitum, secondo la consuetudine marciana. Ma il doppio coro non mantiene nella scrittura di Cavalli il sapore tradizionale marciano, opponendo il contrasto timbrico degli strumenti e delle differenti tessiture vocali. In Cavalli ogni coro è un quartetto vocale con soprano, alto, tenore e basso, che include la presenza degli strumenti: i giochi di contrasto si fondano sullalternarsi di duetti o brevi assolo contrapposti a un singolo coro o al tutti . La Messa si apre con la Sinfonia che precede il Kyrie e comunica la solennità della liturgia: un ritmo scandito nel "pomposo"' andamento accordale, sul quale si innesta l'entrata delle voci, che sembrano riportarci ali antica dimensione antifonale di questa invocazione. Ma con il "Christe eleison" si rompe questa "antica solidità" in favore di un tipico linguaggio concertato, con brevi frasi fatte rimbalzare tra voce e voce. Il secondo Kyrie accoglie una ricca scrittura contrappuntistica, dove le singole voci si riprendono su di un brillante spunto tematico: similmente Cavalli costruisce la fuga del "in gloria Dei Patri" (Gloria) e l' "Amen" a conclusione del Credo. Quest'ultimo e il Gloria prevedono una suddivisione interna in differenti sezioni che rispecchiano una codificata ripartizione testuale: le voci si distendono nell'alternarsi di soli e tutti, secondo il suggerimento testuale, così da modellarsi su toni delicati per il "Qui tollis" o muoversi con energia nel "Quoniam Tu solus", caratterizzato da una cornice di ritornelli strumentali. Naturalmente non mancano momenti in cui Cavalli riversa all'interno di questo solido impianto tutta la commozione degli affetti umani, come si coglie dal "madrigalismo" che amplifica la parola "descendit" intonata ripetutamente dal solista e sulla qualle si apre l'episodio omoritmico dell "Et incarnai us" (Credo). Dal mistero dell incarnazione si passa al dolore della crocifissione che Cavalli rende efficacemente con un delicato duetto dove le voci dei due soprani poggiano su di un'armonia di settima diminuita, tradizionalmente utilizzata per la sottolineatura drammatica del testo. Diversamente si comporta Cavalli nel musicare Sanctus e Agnus Dei, che sono principalmente composizioni per doppio coro, eccetto l'episodio del "Benedictus" costruito come una sorta di breve aria per basso solista. E la consuetudine esecutiva veneziana a dettare queste differenti e. potremo dire, squilibrate proporzioni tra le diverse parti dell' Ordinarium Missae. Come ricorda Ignazio Donati nella sua edizione di musiche sacre del 1623, "Sanctus ed Agnus Dei" vanno fatti "semplici e brevi alla Veneziana, per sbrigarsi presto e dar loco al Concerto per l'Elevazione; & a qualche Sinfonia alla Comunione": le sei sonate inserite da Cavalli nella sopracitata raccolta del 1656 potrebbero trovare utilizzo anche in questi momenti della liturgia, come ulteriori occasioni di far musica in una solenne liturgia barocca.

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